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tempio, Tosi sostiene che «lo storico lo attesta come esistente dalla fine del IV a.C. fino<br />

ai primi decenni del sec. I a.C., se al suo tempo, egli era nato nel 59 a.C., vivevano ancora<br />

in gran numero dei testimoni oculari» 1075 . L’aedes vetus sarebbe stata distrutta da un<br />

terremoto o da un incendio o, eventualmente, da una esondazione del fiume. A quella<br />

che la studiosa definisce la «III fase» edilizia del tempio sarebbe pertinente il fregio d’armi<br />

datato al secondo venticinquennio del I secolo d.C. 1076 . Nel 2004, Elena Di Filippo<br />

Balestrazzi affermava che, secondo quanto testimoniato da Livio, «il tempio doveva esistere<br />

e Padova doveva essere ‘città’» 1077 già nel IV secolo a.C.; non solo, il tempio sarebbe<br />

«scomparso anch’esso, come forse tutti o quasi i resti di questo periodo, quando al momento<br />

della romanizzazione i nuovi metodi costruttivi, con la necessità delle profonde<br />

fondazioni e dei grandi livellamenti, imposero radicali tagli e rimodellazioni, che asportarono<br />

quasi completamente i livelli più recenti del vecchio insediamento» 1078 . Anche<br />

Maurizia De Min, in un recente contributo dedicato alla religiosità dei Veneti antichi,<br />

accetta l’idea dell’esistenza di un tempio a Giunone su una sponda del Meduacus dal IV<br />

secolo a.C., benché non ne siano più individuabili le tracce: la testimonianza, secondo la<br />

studiosa, conferirebbe a Padova il primato tra i centri veneti di un’architettura religiosa<br />

stabile e ne attesterebbe una precoce monumentalizzazione 1079 . Dello stesso avviso anche<br />

Jacopo Bonetto, che a proposito della configurazione ‘urbanistica’ di Padova tra VI e V<br />

secolo a.C., afferma: «l’esistenza di un consistente polo sacrale è tuttavia indiziata dalla<br />

tarda testimonianza del patavino Livio, il quale ricorda un tempio di Giunone (…) ‘vecchio’<br />

di qualche secolo (area della basilica di S. Antonio?)» 1080 .<br />

Le ipotesi fino ad oggi sviluppate, per quanto suggestive, non consentono di fugare<br />

dubbi e perplessità, rendendo così necessario un ritorno alle fonti o, meglio, all’unica<br />

testimonianza certa di un’aedes Iunonis a Patavium, ovvero il racconto di Livio.<br />

L’interpretazione comune del passo vuole che con i rostri e le spoglie navali dei Laconi<br />

sia andato distrutto anche il tempio. Livio, tuttavia, afferma con estrema chiarezza che<br />

«sopravvivono ancora molti Patavini che hanno visto i rostri appesi nel vecchio tempio<br />

di Giunone»: ciò significa, evidentemente che, in età augustea, solo rostra spoliaque non<br />

erano più visibili ma non è dato sapere, almeno per quanto concerne l’analisi filologica<br />

del testo, se stessa sorte toccò all’aedes. L’attributo vetus indica unicamente che il tempio<br />

1075 Tosi 2002a, p. 97.<br />

1076 Tosi 2002a, pp. 96-99.<br />

1077 Di Filippo Balestrazzi 2004, p. 399. Così già Malnati 2003c, p. 15, secondo il quale la testimonianza<br />

di Livio, parimenti alle scoperte archeologiche di Altinum ed Ateste, dimostra l’esistenza di sacelli<br />

all’interno di santuari organizzati.<br />

1078 Di Filippo Balestrazzi 2004, p. 402.<br />

1079 De Min 2005, pp. 117, 121.<br />

1080 Bonetto 2009a, pp. 131-132.<br />

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