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metodologicamente più appropriato per lo studio delle religioni antiche 138 debba prendere<br />

l’avvio da un ‘inventario dei luoghi di culto’, ovvero dall’osservazione di contesti<br />

territoriali per categorie di fonti (epigrafiche, letterarie, archeologiche, iconografiche) 139 .<br />

31. Fonti greche e romane descrivono i ‘luoghi di culto’ italici come inscindibilmente legati all’elemento naturale,<br />

sia esso un monte, un lago, un bosco etc.; raramente, e perlopiù incidentalmente, l’attenzione è rivolta alle<br />

strutture permanenti e agli edifici di culto: Ov. am. 3.14.5-12, per esempio, descrive la festa che si celebrava in<br />

onore di Iuno Curitis in un bosco sacro senza menzionare il tempio a lei dedicato già nel VI secolo a.C. Ancor<br />

più scarse sono le informazioni che si possono ricavare dalle fonti epigrafiche, sull’argomento, in generale, cfr.<br />

de Cazanove 2000b, pp. 31-41 e, inoltre, Rouveret 2000, pp. 43-57. Tutto ciò inviterebbe, pertanto, ad<br />

un’estrema prudenza nell’uso di voci latine e greche per indicare luoghi di culto, strutturati o meno, romani e<br />

preromani. Più appropriata sarebbe, invece, l’adozione del termine ‘santuario’, cfr. in proposito Scheid 2009,<br />

pp. 432-433. Tra i vari significati attribuiti al termine ‘santuario’ si vedano Edlund-Berry 1987, p. 37, che<br />

a proposito dell’Etruria meridionale e della Magna Grecia distingue tra «holy and sacred places in nature» e<br />

«sanctuaries» caratterizzati da «a man-made boundary which, depending on the cultural context, defines an area<br />

as a templum or a temenos», e Colonna in Santuari d’Etruria 1985, p. 160, che sempre in riferimento all’Etruria<br />

propria definisce santuario «prima di tutto un lotto di terreno che la comunità assegna al dio perché vi abiti. In<br />

quanto tale, esso è delimitato da confini (tular) ben visibili, di norma segnalati da un muro […] o soltanto da<br />

cippi», mentre nell’Etruria settentrionale ed appenninica ad indicare la presenza di santuari sono «sempre i soli<br />

depositi votivi». Nel Veneto preromano con ‘santuario’ o ‘luogo di culto’ si intende uno spazio strutturato, o definito<br />

da cippi confinari; «complessi o depositi votivi» potrebbero esserne indizio, cfr. Capuis 1993, pp. 86-87.<br />

Analoghe osservazioni si possono proporre anche per altri termini riferibili al ‘sacro’ come, ad esempio, favissae<br />

o stipes, impiegati spesso in letteratura al pari di sinonimi ma corrispondenti a realtà archeologiche differenti,<br />

cfr. Hackens 1963, pp. 71-99, Bouma 1996, p. 59, Bonghi Jovino 2005, p. 33, Cassatella 2005, p. 77:<br />

l’espressione più comune è ‘depositi votivi’. Nel caso specifico veneto, secondo Pascucci 1990, p. 14, nt. 1, si<br />

indicano con «stipe votiva, complesso votivo, deposito votivo», insiemi di oggetti la cui deposizione può essere<br />

o meno unitaria. Per Capuis 1993, pp. 86-87, invece, sarebbe preferibile adottare ‘stipe votiva’, come risultato<br />

di un atto di culto unitario, mentre ‘deposito’ o ‘complesso votivo’, come testimonianza di offerte reiterate nel<br />

tempo e quindi indicative di un vero e proprio ‘luogo di culto’, o di un accumulo intenzionale di votivi, e dunque<br />

in qualche modo equivalente a favissa. L’uso ambiguo del termine ‘deposito’, ha costretto a distinguere, in<br />

un recente contributo dedicato al santuario altinate di Fornace, tra deposito rituale, inteso come «seppellimento<br />

dei resti di un sacrificio (…) uniti a quelli dei manufatti usati per il rito», deposito votivo, «seppellimento di un<br />

complesso di materiali offerti come atto di devozione alla divinità», fossa di scarico, «seppellimento definitivo di<br />

materiale eterogeneo, originariamente esposto nello spazio sacro, quindi un deposito secondario esito di periodiche<br />

attività di manutenzione», Capuis, Gambacurta, Tirelli 2009, p. 40.<br />

138 Sulla necessità di una inventariazione ragionata dei luoghi di culto preliminare allo studio delle religioni<br />

antiche, cfr. Scheid 1997, pp. 51-59, Scheid 2000a, pp. 63-72, de Cazanove, Scheid 2008, pp.<br />

699-705. Contrario allo studio della religio romana ‘per divinità’, Scheid 2000a, pp. 66-67, Scheid 2005c,<br />

p. 93. Giovanni Mennella, a proposito della metodologia della ricerca in questo particolare settore degli studi,<br />

considera due approcci: il primo consiste in un censimento selettivo di carattere tipologico utile a trarre indicazioni<br />

circa l’identità delle ‘ipostasi’ che furono venerate in un determinato territorio e a valutarne l’incidenza; il<br />

secondo si basa sul confronto tra documenti opportunamente selezionati all’interno di contesti omogenei allo<br />

scopo di comprendere le dinamiche di diffusione e la fisiologia del fenomeno cultuale. Tra le due modalità di<br />

studio, che andrebbero tuttavia applicate ‘in simbiosi’, si privilegia la prima, Mennella 1998, p. 167.<br />

139 In questa direzione ha preso avvio, per esempio, il censimento dei luoghi di culto delle regioni augustee<br />

IX e XI e dei distretti alpini, si veda Bianco, Carlà 2007, pp. 344-345, o quello della Regio I (Alatri,<br />

Anagni, Capitulum Hernicum, Ferentino, Veroli), cfr. Luoghi di culto dell’Italia antica 2008.<br />

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