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1.2. Luoghi di culto e quadro topografico<br />

47<br />

questioni di metodo<br />

Altrettanto rilevante nella redazione di un corpus di luoghi di culto è la categoria del<br />

‘dove’. Si è già accennato all’importanza della distribuzione spaziale dei luoghi di culto 224<br />

e del rapporto tra la topografia e la funzione dei singoli spazi sacri.<br />

Una prima questione si impone innanzitutto: le definizioni ‘urbano’, ‘suburbano’ ed<br />

‘extraurbano’ presuppongono una prospettiva romana, perché solo con la romanizzazione<br />

i centri protostorici dell’Italia settentrionale assunsero la dimensione di civitas, nel<br />

senso proprio del termine. Solo, quindi, con la romanizzazione si definisce amministrativamente<br />

ciò che apparteneva alla città e ciò che, invece, era pertinente al suburbium<br />

o all’ager. Anche se si volesse accettare la concezione protostorica dei termini ‘urbano’ e<br />

‘suburbano’ 225 , non si può dimenticare che l’organizzazione di un determinato territorio<br />

non rimase sempre invariata nel tempo 226 ; ne consegue che la definizione di un luogo di<br />

culto secondo questi parametri dovrà essere condotta, almeno per la fase anteriore alla<br />

romanizzazione, secondo una connotazione, in un certo senso, generica 227 . Al di là delle<br />

questioni topografiche e del loro condizionamento, rimane per i santuari collocati nel<br />

territorio, spesso considerati ‘di confine’ o ‘di frontiera’, il problema di individuarne la<br />

gestione amministrativa non riducibile ad automatismi.<br />

Esiste una proposta di classificazione, avanzata da Loredana Capuis a proposito dei<br />

santuari veneti, secondo la quale si definirebbero santuari suburbani, quelli posti entro<br />

un raggio di 1 o 2 km dal centro abitato, extraurbani, quelli situati tra 10 e 15 km; territoriali,<br />

quelli non facenti capo ad un preciso centro abitato 228 . In tutte e tre le categorie<br />

secolo d.C. sul santuario di località Fornace ad Altino. Cfr. sul contesto di Magonza, cfr. Witteyer 2004;<br />

sulle fasi tardo-antiche del santuario altinate, Possenti 2009, pp. 139-159. La memoria, e non una continuità,<br />

dell’antico luogo di culto si conserva, per esempio, nel toponimo Santa Maria di Minerbe a Monte<br />

Castelon, cfr. Bassi 2003b, p. 61, Buonopane 2003a, p. 81.<br />

224 Glinister 1997, pp. 75-78, distingue tra santuari «in cities», «outside cities», «on boundaries».<br />

225 Cfr. Capuis 2009, p. 192, con ricca bibliografia di riferimento.<br />

226 Scheid 2000a, pp. 68-69, propone come caso esemplificativo quello di un deposito votivo rinvenuto<br />

in località San Marco immediatamente fuori dalle mura di Grumentum. La tipologia del materiale<br />

ha permesso un inquadramento cronologico tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C., in un periodo,<br />

quindi, anteriore all’urbanizzazione dell’abitato. Da ciò deriva l’esclusione del deposito dalla categoria dei<br />

luoghi di culto suburbani.<br />

227 In quest’ottica si spiega, per esempio, l’uso dell’espressione ‘campagna aperta’ in luogo di ager, in<br />

un recente studio di Angela Ruta Serafini sul santuario di Meggiaro ad Este, cfr. Balista, Ruta Serafini<br />

2005, p. 466, nt. 85.<br />

228 Non sembrano attestati santuari urbani ad eccezione di Vicenza e di Padova: nel primo caso il luogo<br />

di culto sarebbe indiziato da un consistente deposito votivo, nel secondo caso dalle fonti letterarie, cfr.<br />

Capuis 1993, pp. 260-261, Capuis 1999a, pp. 154-155, Capuis 1999c, pp. 659-660, Capuis 2002, pp.<br />

237-240, Capuis 2005, pp. 509-511. Il sistema veneto è elaborato sulla scorta del modello etrusco, greco<br />

e greco-coloniare. Sul ruolo fondamentale dei santuari periferici o extraurbani nell’origine delle poleis, cfr.

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