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317<br />

conclusioni<br />

blica, cioè i doveri religiosi della res publica, era intimamente legata alla vita istituzionale» 1796 .<br />

Date queste premesse, la continuità di un determinato culto indigeno non è stata<br />

interpretata secondo parametri di ‘persistenza’, ‘resistenza’ o ‘mediazione’, ma piuttosto<br />

di ‘ufficialità’ o ‘non ufficialità’.<br />

Laddove si è potuta cogliere, la dimensione ufficiale di un culto epicorico è emersa<br />

nelle fonti attestanti l’intervento più o meno diretto di una magistratura civica, o si è dedotta<br />

dalla presenza di santuari organizzati di natura pubblica o, ancora, da riferimenti<br />

al calendario locale che, come noto, era definito annualmente dai magistrati iurisdicenti<br />

con una notevole autonomia rispetto alle regole dell’urbe e in sintonia con le caratteristiche<br />

specifiche del corpo civico di riferimento 1797 .<br />

Un caso significativo è quello dell’aedes Belini a Iulium Carnicum restaurata nella<br />

seconda metà del I secolo a.C. con il consenso dell’autorità vicana e grazie al contributo<br />

finanziario di un collegium. Si tratta, quindi, di un culto pienamente romanizzato nella<br />

forma benché celtico sia Belenus: più che di una religiosità epicoria, la sua presenza si<br />

rivela espressione della celticità stessa della comunità carnica. Un esempio altrettanto<br />

interessante è quello del santuario altinate in località Fornace: alla divinità di tradizione<br />

venetica Altnoi sarebbe subentrato nel I secolo a.C., nel segno di una continuità funzionale,<br />

ovvero di divinità poliadica, Iuppiter Altinatis 1798 .<br />

Se la dimensione ‘pubblica’ costituisce l’osservatorio privilegiato per l’analisi dei culti<br />

in fase di romanizzazione, ciò non toglie che anche la permanenza di una religiosità indigena<br />

o, al contrario, l’adattamento ai culti romani nello spazio privato in alcuni casi è<br />

stato considerato quale indicatore dei fenomeni di acculturazione. Un esempio calzante<br />

è quello dei noti dischi bronzei «di schietta cultura veneta» 1799 , raffiguranti la cosiddetta<br />

dea clavigera o figure maschili/militari per i quali si è pensato ad un programmatico<br />

«recupero di culti di sostrato» 1800 .<br />

Una delle questioni più interessanti affrontate in questo studio è stata quella della<br />

cosiddetta interpretatio, ovvero del rapporto tra divinità ‘importate’ e personalità divine<br />

preesistenti.<br />

Ciò che sembra accomunare la maggior parte degli studi sulle forme di cultualità<br />

in Italia settentrionale, è la ricerca sistematica di radici ‘celtiche’, ma anche ‘venetiche’,<br />

‘retiche’, ‘etrusche’, a divinità tipicamente italiche, quali Minerva, Fortuna, Neptunus,<br />

Hercules, che si sarebbero sovrapposte, per analogia di funzioni, a numi locali.<br />

1796 Scheid 2012, p. 235.<br />

1797 Su questo tema, cfr. Scheid 1999a, pp. 381-423, Raggi 2006, pp. 701-721, Cresci Marrone<br />

2009b, pp. 208-209, 212.<br />

1798 Marinetti 2008b, p. 163, Cresci Marrone 2011a, p. 105.<br />

1799 Da ultima Capuis 2009, pp. 197-201.<br />

1800 Pettenò 2004, pp. 65-81, Pettenò 2006, pp. 67-56.

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