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MARIO GANDINI RAFFAELE PETTAZZONI NEGLI ANNI 1937 ...

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Pettazzoni 6-11-2007 8:57 Pagina 199<br />

di fronte allà civiltà europea, il primo fattore di cui bisogna tener conto è la civiltà europea<br />

nella diversità delle sue forme; un’altra grande differenza è “la diversità tipologica dell’ambiente<br />

culturale delle singole popolazioni africane’’, perché non si può parlare della civiltà<br />

africana in genere, ma ci sono tanti aspetti del problema quanti sono i diversi tipi culturali in<br />

rapporto alle singole popolazioni africane; ciò interessa particolarmente la colonizzazione<br />

italiana perché nel mondo coloniale italiano i tipi culturali vanno da un ambiente primitivo a<br />

civiltà più elevate come quella etiopica. Pettazzoni conclude così il suo intervento:<br />

Il problema dei problemi è questo: conservare o distruggere? Una politica di conservazione delle culture primitive,<br />

delle civiltà primitive, o una politica di distruzione?<br />

I Romani hanno risolto questo problema a modo loro, secondo la loro generale tolleranza e conservazione delle<br />

costumanze e delle abitudini dei popoli da essi conquistati o colonizzati. Per i popoli moderni il problema si pone<br />

sopra delle basi molto diverse; ma io non voglio addentrarmi in questa disamina che richiederebbe delle considerazioni<br />

di carattere politico. Voglio soltanto affermare un concetto; riferendomi ad un pericolo cui più volte si è accennato,<br />

nelle nostre discussioni. Io non credo che ci sia un pericolo africano per la civiltà europea. Ci può essere un<br />

pericolo africano per le razze bianche; ma mi sia permesso dire che i due problemi non coincidono: altro è il problema<br />

delle razze, altro è quello della civiltà. Il pericolo non sta nel conservare le civiltà primitive, il pericolo sta<br />

piuttosto nel distruggerle troppo violentemente, inquantoché la distruzione violenta, che si risolverebbe in una vera<br />

e propria rivoluzione fatta non dal di dentro ma dal di fuori, sconvolgerebbe tutto il sistema di vita degli indigeni,<br />

sradicandoli dal loro mondo tradizionale quando ancora non sono maturi per partecipare in pieno alla vita europea.<br />

La mattina di venerdì 7 ottobre si tiene la sesta adunanza sotto la presidenza di Eugenio<br />

d’Ors della Real Academia Española; è all’ordine del giorno il quarto tema (Problemi della<br />

propagazione delle religioni nelle popolazioni pagane in Africa), un tema che interessa certamente<br />

Pettazzoni.<br />

Primo relatore è Louis Massignon, al quale è stato assegnato il compito di trattare un<br />

argomento ch’era stato scelto dal Nallino: egli commemora brevemente l’amico all’inizio<br />

della sua relazione, Causes et modes de la propagation de l’Islam parmi les populations<br />

païennes de l’Afrique; anche il secondo relatore, Michelangelo Guidi, prima di cominciare il<br />

riassunto della sua comunicazione, Islam e Cristianesimo in relazione alle religioni e culture<br />

indigene, a nome della Scuola italiana di Islamistica ed arabistica, si associa a quanto ha<br />

detto il Massignon in memoria di Nallino; parlano poi Roberto Focà, Penetration politique<br />

et religieuse de l’Afrique, Carlo Rossetti, La propagazione della fede in Africa, Gaspare<br />

Ambrosini, La sorte delle popolazioni pagane. Nessuno chiede di intevenire; per ragioni di<br />

opportunità non interviene Pettazzoni, il quale certamente avrebbe qualcosa da osservare<br />

soprattutto sulla tesi sostenuta dal Rossetti, secondo il quale per l’Italia “la civiltà che deve<br />

rappresentare il fine ultimo della colonizzazione non può essere che cattolica” e pertanto non<br />

deve essere consentito nei nostri territori coloniali l’esercizio del proselitismo di altre confessioni.<br />

Si passa al quinto tema (Politica sociale verso gli indigeni e modi di collaborazione con<br />

essi); in assenza dell’autore viene distribuita la relazione a stampa di Cesare M. De Vecchi<br />

di Val Cismon, Politica sociale verso gli indigeni e modi di collaborazione con essi, nella cui<br />

premessa il quadrumviro ricorda d’aver reagito nei suoi scritti contro la parola “colonia” che<br />

“significa la presenza di colonizzatori o coloni o colonizzati”: “Si tratta infatti, per la nostra<br />

dottrina, di terre d’impero da governare coi sistemi imperiali fascisti direttamente discendenti<br />

come tutta la nostra dottrina dalla romanità, dalla quale per altro discende tutta la civiltà<br />

occidentale”.<br />

È presente Italo Balbo, governatore generale della Libia, il quale legge la sua relazione,<br />

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