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MARIO GANDINI RAFFAELE PETTAZZONI NEGLI ANNI 1937 ...

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Pettazzoni 6-11-2007 8:57 Pagina 71<br />

processo di assestamento coloniale è ormai terminato, allora sorge, fra il Settecento e l’Ottocento, la<br />

nuova scienza, che appunto in quel tempo assume il nome di Etnografia e poi di Etnologia. Il progresso<br />

degli studi etnologici segue, da principio, le fasi dell’espansione coloniale europea nei diversi continenti.<br />

Il paese che possiede il più vasto impero coloniale — l’lnghilterra — è quello in cui la scienza<br />

etnologica (o “antropologica”) è più coltivata. Né sarà pura coincidenza fortuita che l’Etnologia entri<br />

oggi nelle Università Italiane, contemporaneamente all’affermarsi dell’Italia come grande potenza<br />

coloniale e al costituirsi del suo impero africano. Scienza avventurosa, scienza espansionistica, l’etnologia<br />

porta in fronte il segno di un destino imperiale.<br />

L’umanità era stata riconosciuta agli indigeni, ma non la civiltà. ‘Selvaggi’ furon detti a partire<br />

dalla fine del Cinquecento, e fu sinonimo di popoli senza cultura, senza leggi, senza religione. Popoli,<br />

come poi anche si disse, naturali, alla mercè della natura, incapaci di dominarla, da essa dominati.<br />

Toccò all’etnologia di allargare il concetto di civiltà sino a farlo coincidere con quello di umanità.<br />

Non ci sono popoli senza civiltà. L’etnologia è scienza dei popoli come portatori di civiltà, di una qualsiasi<br />

civiltà, sia pur la più rozza. L’etnologia, scienza storica della civiltà, è di fatto la storia delle civiltà<br />

primitive.<br />

I ‘selvaggi’ non sono fuori della civiltà: non sono tutta natura, né i civili tutta cultura. Fra selvaggi<br />

e civili non c’è opposizione -natura contro cultura-, bensì variazione sul piano comune della civiltà.<br />

L’opposizione è soltanto apparente. Quel che a prima vista sembra un hiatus, ecco che, a ben guardare,<br />

si riempie di forme intermedie. Ci sono popoli più ed altri meno selvaggi, popoli più ed altri meno<br />

civili. Ci sono, fra gli uni e gli altri, dei popoli semicivili. Sono altrettanti anelli di una stessa catena.<br />

Anzi: gradini di una stessa scala. Dai più bassi ai più alti c’è ascensione, c’è svolgimento, c’è evoluzione.<br />

L’etnologia si mise a tracciare le grandi linee della evoluzione della civiltà umana. Si costruirono<br />

sistemi sopra sistemi, e non fu impresa facile. Come classificare, ad es., i popoli dell’antichità rispetto<br />

ai moderni? E tra le civiltà antiche come valutare le orientali (Egitto, Babilonia, India) rispetto alle classiche<br />

(Grecia e Roma)? In un’opera tedesca pubblicata nel 1896 si trovano classificati i Greci fra i<br />

popoli civili, i Romani fra i semicivili. Perché? perché è adottato come criterio discriminante lo sviluppo<br />

della personalità indviduale considerato come caratteristico della civiltà moderna, mentre nell’antichità<br />

sarebbe stato raggiunto soltanto in Grecia, e non, o solo imperfettamente, in Roma.<br />

Variando il criterio si avrà un altro sistema, nel quale i Romani probabilmente figureranno fra i<br />

popoli civili. In questa variabilità ad libitum, in questa arbitrarietà e soggettività dei sistemi evoluzionistici<br />

sta la loro debolezza.<br />

Inveiremo per questo contro l’evoluzionismo come oggi si fa in certi circoli nei quali l’aggressività<br />

polemica prevale su la serenità scientifica? Ma è nella fase evoluzionistica che si preparano gli ulteriori<br />

sviluppi della etnologia. E già sotto il segno dell’evoluzionismo l’etnologia ci ha insegnato molte<br />

cose. Ci ha insegnato a scomporre una civiltà nei suoi elementi costitutivi, a distinguere in un dato complesso<br />

culturale l’antico dal moderno e il primitivo dall’antico, a scoprire un prima e un dopo in una<br />

apparente contemporaneità, ad approfondire una veduta di superficie in una fuga di prospettive digradanti<br />

verso una lontananza indefinita.<br />

Questo è già fare “l’analisi etnologica della civiltà”. Per esempio: scelgo appositamente un esempio<br />

notissimo, che riguarda la civiltà romana. Diana è una divinità della religione romana. A Nemi c’era<br />

il culto di Diana Nemorensis, la ‘Diana del Bosco’, il cui sacerdote si chiamava rex nemorensis, ‘il re<br />

del bosco’. Nel bosco sacro c’era un albero, dal quale non era lecito staccare alcun ramo. Soltanto uno<br />

schiavo fuggitivo poteva osare: se riusciva, eludendo la vigilanza, poteva sfidare il sacerdote a combattimento:<br />

se lo uccideva, prendeva il suo posto come ‘re del bosco’, essendosi in tal modo assicurata<br />

l’impunità. Svetonio (Calig.34) racconta che Caligola pagò uno sgherro robusto perché in duello<br />

avesse ragione del sacerdote di Nemi che teneva l’ufficio da ormai troppi anni. Infatti la conservazione<br />

della carica, come la sua assunzione, dipendeva interamente dalla prestanza fisica. Così il secerdozio<br />

- e questo sarà stato appunto lo scopo cui tendeva l’istituzione - finiva per trovarsi sempre nelle<br />

mani del più forte.<br />

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