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Apocalisse, il giorno dopo - Baskerville

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D ANELE P UGLIESE, APOCALISSE, IL GIORNO DOPO<br />

Corruzione e decomposizione sono segni del fallimento<br />

dell’uomo che possono essere compresi, secondo Ariés, alla<br />

luce della nozione contemporanea di fallimento, di quel<br />

sentimento cioè, assai fam<strong>il</strong>iare e diffuso nelle classi agiate<br />

delle società industriali di oggi, che sta all’origine del clima<br />

di depressione, per cui l’adulto prova di non aver realizzato<br />

nella propria vita «nessuna delle promesse della sua<br />

adolescenza». Scrive Ariés:<br />

Questo sentimento era del tutto estraneo alla mentalità delle società<br />

tradizionali [... ma non più] all’uomo ricco, potente o istruito alla fine<br />

del Medioevo. Tuttavia, fra <strong>il</strong> nostro senso contemporaneo del<br />

fallimento personale e quello della fine del Medioevo, esiste una<br />

differenza [...]. Oggi non mettiamo in rapporto <strong>il</strong> nostro scacco vitale e<br />

la nostra mortalità umana. La certezza della morte, la frag<strong>il</strong>ità della<br />

nostra vita sono estranee al nostro pessimismo esistenziale.<br />

Invece, l’uomo della fine del Medioevo aveva la consapevolezza<br />

acutissima di essere un morto a breve scadenza, e la morte, sempre<br />

presente dentro di lui, infrangeva le sue ambizioni, avvelenava i suoi<br />

piaceri. E quest’uomo nutriva una passione per la vita che oggi possiamo<br />

a stento comprendere [...] L’uomo delle età [...] in cui la mentalità<br />

capitalistica e tecnica [...] non era ancora formata [...] provava un<br />

amore irragionevole, viscerale per i temporalia [...] le cose, gli uomini, i<br />

cavalli e i cani 180.<br />

amore per la vita e della consapevolezza dolorosa della sua frag<strong>il</strong>ità, alle soglie<br />

del Rinascimento». PHILIPPE ARIÉS, Storia della morte in Occidente, cit., p. 123.<br />

180 Più oltre Ariés torna sull’argomento in maniera più esplicita: «Tutti gli uomini<br />

d’oggi – scrive –, [...] provano a un certo momento della loro vita <strong>il</strong> sentimento<br />

più o meno forte, più o meno confessato o represso, dello scacco: scacco<br />

fam<strong>il</strong>iare, scacco professionale... Ciascuno ha coltivato fin da giovane delle<br />

ambizioni e un <strong>giorno</strong> si accorge che non le realizzerà mai. La sua vita è fallita.<br />

Questa scoperta, talvolta lenta, spesso brutale, è una terrib<strong>il</strong>e prova che non<br />

sempre potrà superare. La delusione potrà condurlo all’alcolismo, al suicidio. Il<br />

tempo della prova arriva di solito verso la quarantina, talvolta più tardi e ora<br />

qualche volta anche più presto, purtroppo... Ma è sempre anteriore al grande<br />

declino fisiologico dell’età, e alla morte. L’uomo di oggi si vede un <strong>giorno</strong> come<br />

un fallito. Non si vede mai come un morto. Questo senso di fallimento non è un<br />

tratto permanente della condizione umana. Anche nelle moderne società<br />

industriali è riservato agli uomini, voglio dire ai maschi, e le donne non lo<br />

conoscono ancora. Era ignoto nel primo Medioevo. È incontestab<strong>il</strong>e che esso<br />

appare nella mentalità durante <strong>il</strong> secondo Medioevo, a partire dal XII secolo, e<br />

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