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12/2010 - Università degli Studi del Molise

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Lorenza Paoloni<br />

nità locale 11 .<br />

Nell’ambito di tale sistema ogni paese membro, nell’esercizio <strong>del</strong>la<br />

propria sovranità, consente il libero (o quasi libero) accesso, alle altre<br />

Parti contraenti, alle risorse genetiche vegetali a fini di ricerca, selezione,<br />

conservazione e formazione. Ciò non significa che si viene a determinare<br />

una riduzione <strong>del</strong>la sovranità dei paesi sulle loro risorse perché il Trattato<br />

esplicitamente riconosce, nel preambolo, la possibilità per i singoli<br />

stati di beneficiare mutuamente <strong>del</strong>la creazione di un effettivo sistema<br />

multilaterale che consenta, come si diceva, l’accesso facilitato ad una selezione<br />

concordata di risorse genetiche e ad una condivisione dei benefici<br />

derivanti dal loro uso.<br />

Da un punto di vista storico ed economico, peraltro, come è stato<br />

anche di recente ribadito, i beni comuni naturali rappresentano, segnatamente,<br />

<strong>del</strong>le risorse collettive condivise, amministrate ed auto-gestite dalle<br />

comunità locali <strong>12</strong> ; si è altresì rimarcato, che “la specificità dei diritti collettivi<br />

impliciti nei beni comuni è quella di fornire alle comunità locali<br />

mezzi di sussistenza che non sono merci, nel quadro di un’organizzazione<br />

sociale e produttiva collettiva, dando sicurezza e autonomia alle comunità<br />

locali e garantendo nel contempo la sostenibilità ecologica <strong>del</strong>le risorse<br />

su cui i diritti insistono” 13 .<br />

Sempre la medesima autrice puntualmente specifica come “non sempre<br />

si tratta di risorse in senso proprio, e cioè di beni fisici o materiali<br />

come un campo da coltivare, un pascolo, un corso d’acqua, una zona di<br />

pesca; possono essere anche diritti d’uso sui frutti derivanti da un bene<br />

naturale - i common rights <strong>del</strong>la common law anglosassone; gli usi civici<br />

nella tradizione giuridica italiana; le “servitù” che ancora oggi gravano<br />

sui beni naturali, grazie ai quali le comunità ricavano o integrano<br />

i loro mezzi di sussistenza; il patrimonio <strong>del</strong>le risorse genetiche naturali,<br />

recentemente oggetto di interesse da parte <strong>del</strong> Trattato Internazionale<br />

<strong>del</strong>le Risorse Genetiche Vegetali per l’Agricoltura e l’Alimentazione<br />

<strong>del</strong> 2001” 14 .<br />

Occorre precisare, peraltro, che la categoria <strong>del</strong> “bene comune” <strong>del</strong>le<br />

risorse genetiche individuabile nel Trattato non è ancora estesa a livel-<br />

11 E’ l’opinione di O. De Schutter, Report of the Special Rapporteur on the Right to Food,<br />

United Nations General Assembly, A/64/150, 2009, 16<br />

<strong>12</strong> E. Ostrom, Governing the Commons, trad. it., Governare i beni collettivi, Venezia, Marsilio,<br />

2006<br />

13 G. Ricoveri, Beni comuni vs merci, Milano, Jaca Book, <strong>2010</strong>, 94<br />

14 G. Ricoveri, I beni comuni: patrimonio da proteggere, in “Agricoltura, Istituzioni, Mercati”,<br />

3/2009<br />

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