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12/2010 - Università degli Studi del Molise

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Carmela Amura<br />

7. Evoluzione <strong>del</strong> contenuto <strong>del</strong> diritto al nome<br />

Il nome, una volta attribuito, entra nel patrimonio giuridico <strong>del</strong> soggetto,<br />

lo denota e lo colloca nel complesso <strong>del</strong>l’umanità. È un bene immateriale<br />

che, di norma, gli appartiene nella vita, ma nella morte gli sopravvive;<br />

per la tutela che l’ordinamento gli appresta, è anche suscettibile<br />

di essere quantizzato economicamente, a seguito, per esempio, di azione<br />

di risarcimento dei danni per usurpazione56 .<br />

Nell’ordinamento italiano, il diritto al nome viene considerato e tutelato,<br />

a norma <strong>del</strong>la Costituzione, quale diritto irrinunciabile ed inviolabile<br />

<strong>del</strong> quale nessuno può essere privo o privato.<br />

La dottrina prevalente considera il nome, tranne i casi per i quali<br />

la legge consente il cambiamento, immutabile.<br />

Tale immutabilità è protetta non soltanto nell’interesse pubblico, ma<br />

anche nell’interesse individuale nei confronti <strong>del</strong>lo Stato.<br />

Invero, il diritto al nome emerge in tempi alquanto recenti ed è frutto<br />

di una lenta evoluzione.<br />

Da una lettura “pubblicistica”, che lo proteggeva come strumento<br />

per tutelare l’ordine pubblico, attraverso l’esatta individuazione dei suoi<br />

consociati, si è passati ad una lettura “sociale” <strong>del</strong> nome, inteso come segno<br />

distintivo <strong>del</strong>la comunità elementare costituita dalla famiglia, ove esso<br />

denota verso l’esterno l’appartenenza al medesimo nucleo familiare.<br />

Solo in tempi relativamente recenti la giurisprudenza ha seguito la<br />

56 Tuttavia, la composizione <strong>del</strong> nome è indipendente dalla volontà <strong>del</strong> titolare. La<br />

scelta <strong>del</strong> prenome è, infatti, appannaggio dei genitori, Non a caso, nella tradizione italiana,<br />

si parla di “imposizione” <strong>del</strong> nome, prima espressione <strong>del</strong>la potestà sui figli che la legge<br />

attribuisce ai genitori fino alla maggiore età. La scelta dei genitori vede solo pochi limiti:<br />

è vietato imporre al neonato lo stesso nome <strong>del</strong> padre, di un fratello o di una sorella<br />

viventi, di un cognome come nome, nomi ridicoli o vergognosi, ma se il dichiarante insiste<br />

nel voler attribuire uno dei nomi in violazione dei predetti divieti, l’ufficiale di stato<br />

civile dovrà comunque accettare la dichiarazione e formare l’atto di nascita, salvo darne<br />

immediata comunicazione al Procuratore <strong>del</strong>la Repubblica, affinché promuova il giudizio<br />

di rettificazione. Il prenome può essere composto di non più di tre elementi che costituiscono,<br />

comunque, un solo prenome, da indicare in tutti i documenti e deve corrispondere<br />

al sesso, in maniera da non creare equivoci alla luce <strong>del</strong>la tradizione e <strong>del</strong>l’uso in Italia,<br />

con talune eccezioni. Il legislatore ha inteso che l’interesse pubblico prevalga su quello dei<br />

genitori alla libera scelta. Il caso più eclatante è quello relativo al prenome Andrea, che in<br />

Italia ha valenza maschile, mentre in altri paesi è usato come prenome femminile. Al fine<br />

di contemperare gli interessi il Ministero <strong>del</strong>l’Interno ha disposto che in aderenza alla prassi<br />

già consolidata relativa al nome Maria, che viene imposto anche a minori di sesso maschile,<br />

purché sia preceduto da un primo elemento onomastico chiaramente maschile, ad<br />

esempio: Enrico Maria, si possa ritenere che nulla osti a che un nome tradizionalmente maschile<br />

possa essere imposto ad una bambina, purché dopo un elemento onomastico chiaramente<br />

femminile, ad esempio: Francesca Andrea.<br />

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