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12/2010 - Università degli Studi del Molise

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Agostino Guarente<br />

bero potuto ampliare la loro analisi prendendo in considerazione anche<br />

il problema <strong>del</strong> pubblico che trova sempre più difficile dare credito ai politici.<br />

Naturalmente, come i curatori sottolineano (Pharr, Putnam e Dalton,<br />

2000), si può interpretare la crescente insoddisfazione <strong>del</strong>la persone<br />

rispetto alla politica ed ai politici come un segnale di salute <strong>del</strong>la democrazia:<br />

ossia, un’opinione pubblica politicamente matura ed esigente<br />

ha aspettative maggiori dai suoi statisti rispetto alla generazione precedente,<br />

più rispettosa. Oppure, si può argomentare che la gente non si<br />

occupa di politica perché è contenta dei risultati di base <strong>del</strong> governo ed<br />

in ogni caso soddisfa la maggior parte dei suoi bisogni grazie al mercato.<br />

Sarebbe però un errore fondamentale ritenere che, poiché la maggior<br />

parte <strong>del</strong>le persone ha perso interesse per la politica, in qualche modo<br />

il potere politico tenda a svanire e nessuno lo voglia o ne faccia uso.<br />

Trattando <strong>del</strong>l’argomento <strong>del</strong>la democrazia lo si vuol qui fare in termini<br />

dichiaratamente ideali, che servono ad innalzare il livello <strong>del</strong>le aspettative<br />

riguardo alla democrazia. È sempre valido e molto utile considerare<br />

la nostra condotta in relazione ad un ideale, così da poterla migliorare.<br />

È essenziale assumere questo atteggiamento verso la democrazia piuttosto<br />

che quello più comune, che consiste nel ridimensionare le definizioni<br />

<strong>del</strong>l’ideale in modo che si uniformino a ciò che possiamo raggiungere<br />

senza particolare fatica: difatti così si alimenta l’autocompiacimento<br />

e si annulla l’impegno ad identificare le forme in cui la democrazia viene<br />

indebolita. Gli scritti dei politologi americani <strong>degli</strong> anni Cinquanta adattavano<br />

la loro definizione di democrazia in modo da farla corrispondere<br />

alla prassi vigente negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna, piuttosto che<br />

notare qualche difetto nei sistemi politici dei due Paesi (p. es. Almond e<br />

Verba, 1963) - un atteggiamento più consono alla ideologia <strong>del</strong>la Guerra<br />

fredda che alla analisi scientifica. Un approccio simile domina il pensiero<br />

contemporaneo. Ancora una volta, per influsso <strong>degli</strong> Stati Uniti, la democrazia<br />

è sempre più spesso definita come democrazia liberale: una forma<br />

storica contingente, non un concetto normativo stabilito una volta per tutte<br />

(vedi la trattazione critica di questo punto in Dahl, 1989; Schmítter, 2002).<br />

La democrazia liberale, insiste sulla partecipazione elettorale come attività<br />

politica prevalente per la massa, lascia un largo margine di libertà alle<br />

attività <strong>del</strong>le lobby, con possibilità assai più ampie di coinvolgimento soprattutto<br />

a quelle economiche, ed incoraggia una forma di governo che evita<br />

interferenze con l’economia capitalista. Si tratta di un mo<strong>del</strong>lo elitario<br />

scarsamente interessato al coinvolgimento di larghi strati di cittadini o al<br />

ruolo <strong>del</strong>le organizzazioni al di fuori dall’ambito economico.<br />

La democrazia prospera, si avvicina al suo mo<strong>del</strong>lo ideale, quando<br />

aumentano per le masse le opportunità di partecipare attivamente, non<br />

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