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Marziano Ciotti l'occhio dritto di Garibaldi - La tana dell'orso

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In Friuli con Antonio Andreuzzi<br />

po balzammo in pie<strong>di</strong> con gli evviva d’Italia e Garibal<strong>di</strong>. <strong>La</strong> vista della<br />

camicia rossa li sbalordì. Si riunirono tutti insieme si fecero riparo<br />

d’una roccia; e si impegnò una viva fucilata d’ambo le parti. Al primo<br />

colpo uno degli austriaci rimase morto, e 7 feriti. Il capitano Ferrari ai<br />

primi caduti si <strong>di</strong>ede alla fuga. Vedendo che i suoi fratelli dalle rocce<br />

continuavano il fuoco, Tolazzi or<strong>di</strong>na alla baionetta, ed in allora i nemici<br />

si danno tutti a precipitosa corsa verso Andreis. Il popolo <strong>di</strong> quel patriottico<br />

paese, trepidando sulla nostra sorte, alle prima fucilate si raccolse<br />

sulla piazza. Era un bel giorno <strong>di</strong> sole e così gli andreani a bell’ora<br />

<strong>di</strong> mattino, poterono contemplare la fuga <strong>di</strong> quei vigliacchi, ridendo<br />

sulle rodomontate del loro capitano; <strong>di</strong>mostrazione che costò loro cara,<br />

pagandola col saccheggio e parte col carcere. Gli Austriaci lasciarono il<br />

morto e i feriti sul campo, e solo molte ore dopo la nostra partenza andarono<br />

a raccoglierli, scortati da molte guide <strong>di</strong> Andreis che a ciò furono<br />

sforzate. Noi non ebbimo che un ferito gravemente, certo G. Batta,<br />

Del Zotto (detto Centesim <strong>di</strong> Tramonti <strong>di</strong> Sotto) e Silvio Andreuzzi<br />

leggermente alla sommità della spalla.<br />

L’inseguire i fuggenti era per noi impossibile, perché saremmo caduti<br />

nella rete <strong>di</strong> un grosso corpo <strong>di</strong> nemici.<br />

Con sei ore <strong>di</strong> marcia delle più faticose e pericolose ascendemmo il<br />

monte Navalesc, portando e sorreggendo secondo i siti il nostro povero<br />

ferito, che fummo costretti ad abbandonare in mano al pastore Marcolina<br />

Gravenna delle Tronconere in canale Selisia, che dopo il quale<br />

poi cadde in mano agli austriaci. *<br />

* Dopo lo scontro a fuoco si ritirarono verso la forcella Navalesc traversando<br />

in quota il versante sud del monte Castello lungo una impervia cengia che sarà<br />

poi denominata dai locali “la cengia dei Garibal<strong>di</strong>ni”. Fu una impresa <strong>di</strong> notevole<br />

<strong>di</strong>fficoltà alpinistica, complicata dal trasporto del ferito. Questi fu lasciato<br />

in casera Navalesc (poco sotto e a Nord della forcella omonima) dove<br />

c’era il tal Marcolina Gravenna che aveva casa in Tronconere ma che si trovava<br />

lì per le sue occupazioni. Fu lasciato accanto al ferito anche Davide Beltrame<br />

che fu protagonista <strong>di</strong> un’avventura ricordata da Marioni in “Navarons –<br />

Men<strong>tana</strong>” e confermata da Silvio Andreuzzi in una sua lettera. Beltrame, prima<br />

<strong>di</strong> sera, scese fino a Tronconere per reperire un po’ <strong>di</strong> latte per il ferito. Al<br />

suo ritorno gli austriaci erano già in casera Navalesc e appena si accorsero <strong>di</strong><br />

lui lo ricevettero a fucilate. Fortunosamente riportò solo un foro nei calzoni.<br />

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