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Marziano Ciotti l'occhio dritto di Garibaldi - La tana dell'orso

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In Friuli con Antonio Andreuzzi<br />

banda ne rimase ferito uno: il Del Zotto. Nel primo rapporto fatto dall’ufficiale<br />

austriaco comandante <strong>di</strong> quella operazione militare, si <strong>di</strong>ceva<br />

che la banda era composta, <strong>di</strong> circa 300 uomini. Ciò prova come si sia<br />

battuta.”<br />

Ho voluto riferire testualmente le parole <strong>di</strong> quello che pubblicò – come<br />

<strong>di</strong>ssi più sopra – alcuni cenni sul nostro movimento, circa il fatto d’armi<br />

<strong>di</strong> Monte Castello, onde l’egregio Avvocato d’Agostini – con la sua<br />

solita cortesia – non mi tacciasse d’esagerato descrivendolo io stesso.<br />

Frattanto la sera antecedente il valorosissimo nostro amico Cella comparve<br />

con una banda <strong>di</strong> 27 uomini risoluti a Venzone, <strong>di</strong> là proseguendo<br />

sino a Moggio, scese a Illegio, ripiegò a piè del monte Amariana, e<br />

là dovette sciogliersi, non avendo potuto, per quanti sforzi abbia fatto,<br />

venire a raggiungerci.<br />

Dopo il combattimento <strong>di</strong> Monte Castello gli Austriaci spiegarono una<br />

attività sorprendente nell’inseguirci, e benché seminassero <strong>di</strong> soldati<br />

stanchi ed avviliti tutte le faticosissime strade dei monti, pure – cacciando<br />

avanti compagnie intere – giungevano a molestarci insopportabilmente.<br />

Non avevamo più quiete, più riposo. Privi <strong>di</strong> notizie – circondati<br />

da ogni parte – costretti a marciare sotto continue piogge – scarsi<br />

<strong>di</strong> provvigioni – col vecchio Andreuzzi cadente dalla stanchezza e dagli<br />

acciacchi, risolvemmo <strong>di</strong> sciogliere la banda.<br />

Era una fredda ma bella mattina <strong>di</strong> novembre. Avevamo riposato alcune<br />

ore in una stalla a metà della montagna denominata Gereat-Tàdola<br />

superiormente ad Inglagna. Salimmo fino alla vetta. Là sull’alto <strong>di</strong><br />

quella lunga catena <strong>di</strong> monti che appellasi la Do<strong>di</strong>smala e che <strong>di</strong>vide la<br />

vallata del Meduna da quella del Silisia si protendeva lo sguardo fino<br />

ad Inglana da un lato, alla Valina dall’altro. A pie<strong>di</strong> del monte sulla<br />

strada <strong>di</strong> Selis si vedeva una lunga striscia nera che si muoveva e andavasi<br />

allungando. Erano austriaci. Da ogni lato ci avevano circondato.<br />

Decisamente ci avevano veduti, ma non s’arrischiavano <strong>di</strong> salire per avvicinarsi:<br />

d’altronde erano sicuri <strong>di</strong> pigliarci, avendo sbarrato ogni piccolo<br />

viottolo, ogni men che impercettibile uscita. L’ora fatale era suonata;<br />

era giocoforza sciogliersi e tentare <strong>di</strong>visi, isolati <strong>di</strong> rompere quella<br />

cerchia <strong>di</strong> ferro e <strong>di</strong> sortire framezzo alle fucilate nemiche. Deponemmo<br />

il venerando Andreuzzi in un antro che la provvida natura ci aveva<br />

messo li daccanto, raccogliemmo in questo le nostre carabine tenendo<br />

con noi il solo revolver, ed affidammo il nobile vecchio ad un pietoso<br />

pastore che promise <strong>di</strong> portargli – e gli portò <strong>di</strong>fatti ogni quattro o cinque<br />

giorni – acqua e pane. Il <strong>di</strong>stacco da quell’uomo che per noi era la<br />

personificazione della convinzione e del sacrifizio, da quell’uomo che –<br />

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