la civiltà nuragica - Sardegna Cultura
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plice, popo<strong>la</strong>re, che non si poteva permettere<br />
l’offerta d’un ex-voto in metallo o altro materiale<br />
prezioso. L’ex-voto in creta era alternativo<br />
soltanto al pezzo votivo in cera, legno,<br />
pasta, stoffa e in altra materia effimera, di cui<br />
nul<strong>la</strong> ci è rimasto.<br />
Al<strong>la</strong> natura dei committenti risponde lo<br />
stile delle figurine in terracotta: « libero e<br />
dimesso che dà un model<strong>la</strong>to di fattezze volgarmente<br />
deformi e crude nell’accentuazione<br />
realistica di certe parti del corpo umano.<br />
La nudità di tutte le statuine, di maschi o<br />
di femmine che siano, e gli atteggiamenti<br />
naturalistici depongono per immagini di<br />
infermi i quali indicano, toccandolo, l’organo<br />
e il punto ma<strong>la</strong>to. Da ciò si capisce<br />
meglio <strong>la</strong> funzione di ex-voto delle figurine,<br />
offerte appunto per avere <strong>la</strong> guarigione con<br />
le specificazioni di membra o di organi sanati<br />
o da sanare. Cosa che non si osserva,<br />
stranamente, nelle statuine di bronzo, rappresentanti<br />
eccezionalmente dei ma<strong>la</strong>ti in<br />
forma visibile diretta (i gruppi di Madri con<br />
bimbo e il devoto con gruccia da Serri, l’offerente<br />
con <strong>la</strong> mano fasciata da Abini). Ma<br />
<strong>la</strong> rappresentazione è dell’intero fisico e non<br />
di singole sue parti anatomiche.<br />
Un insieme di statuette di Abini (figg. 233-<br />
234) produce immagini maschili e femminili<br />
in piedi, a gambe unite o divaricate, di argil<strong>la</strong><br />
rosso scuro molto granulosa. Sul<strong>la</strong> testa si<br />
disegna un’espansione a segmento di cerchio<br />
che forse vuole condensare, in una massa<br />
compatta, <strong>la</strong> capigliatura. Il viso dei pupazzetti<br />
è variato da punti incisi che segnano gli<br />
occhi e <strong>la</strong> bocca. Sul petto di una statuina<br />
femminile, con <strong>la</strong> testa distinta dal corpo<br />
(altre invece riuniscono le parti nel<strong>la</strong> stessa<br />
superficie), si rilevano i tondini delle mammelle;<br />
e il braccio destro si incurva a toccare<br />
il ventrete tendenza a contenerne <strong>la</strong> produzione<br />
in poco più di un secolo, dal<strong>la</strong> fine del<br />
IX a tutto l’Vili. A taluno sembra un assurdo<br />
storico sostenere una linea di continuità attiva<br />
delle botteghe di barchette nei 240 anni<br />
che passano dall’esemp<strong>la</strong>re più antico di<br />
grotta Pirosu (820 a.C.) a quello più recente<br />
di Gravisca (tra 650 e 640 a.C.). Perciò si<br />
pensa di spiegare questo scarto cronologico<br />
con il tramandarsi di generazione in generazione<br />
di oggetti così preziosi. Si può opporre<br />
che il valore qualitativo e il carattere non<br />
pratiCo (per lo più votivo e soprattutto funerario<br />
in terra etrusca) avrebbero indotto gli<br />
artigiani a riprodurre a lungo il tipo di manufatto,<br />
mantenendo <strong>la</strong> forma « canonica» Come<br />
volevano il costume e il culto i quali tendono<br />
solitamente al<strong>la</strong> conservazione. D’altra<br />
parte, se il tipo del<strong>la</strong> navicel<strong>la</strong> si standardizza<br />
a causa del<strong>la</strong> costante funzione, variano <strong>la</strong><br />
forma e il gusto decorativi che, negli esemp<strong>la</strong>ri<br />
più e<strong>la</strong>borati, accusano il modo e il sentire<br />
« orientalizzante ». Infine, se un riutilizzo<br />
a secoli di distanza dal<strong>la</strong> fattura si capisce<br />
in templi e sepolture, è difficile ad ammettersi<br />
nei luoghi di vita. E’ il caso, ad esempio,<br />
del<strong>la</strong> navicel<strong>la</strong> del nuraghe Su Igante-Uri,<br />
simile alle barchette delle tombe vetuloniesi<br />
delle « Tre navicelle » e del « Circolo delle<br />
navicelle », nonché di quel<strong>la</strong> del tempio di<br />
Gravisca. Essa stava in un contesto di suppellettile<br />
esterna al nuraghe (e cioè in un posto<br />
richiedente pronto e non lungo impiego di<br />
oggetti), dove erano anche, fra l’altro, delle «<br />
appliques » di argento e bronzo d’una tazza<br />
ritenuta importata da Caere e datata al<strong>la</strong><br />
seconda metà del VII secolo a.C. Dunque le<br />
navicelle ci danno estremi cronologici dal<strong>la</strong><br />
fine del IX a tutto o quasi il VII secolo a.C.,<br />
presso a poco gli stessi delle statuine.<br />
Di fronte al<strong>la</strong> scultura in pietra e al<strong>la</strong> p<strong>la</strong>stica<br />
in bronzo, <strong>la</strong> corop<strong>la</strong>stica <strong>nuragica</strong><br />
appare oggi ben poca cosa, quantitativamente<br />
e qualitativamente. Il suo carattere è<br />
prevalentemente votivo, perché i non numerosi<br />
esemp<strong>la</strong>ri vengono per lo più da luoghi<br />
di culto, dove costituivano elementi di<br />
Figurine fittili dei due sessi ha restituito il<br />
pozzo sacro di Paulilátino, insieme a bronzetti<br />
fenici e nuragici e a oggetti d’oro che<br />
costituivano <strong>la</strong> stipe. Tutte stanti di fronte, le<br />
maschili presentano le gambe tronche più o<br />
meno aperte come i pezzi di Abini. Elemento<br />
comune è l’appuntimento del capo. Un per-<br />
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