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Registro missive n. 16 - Istituto Lombardo Accademia di Scienze e ...

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verso nuy et lo stato nostro quello che degno fare li valenthomini. Adeso<br />

havendo luy preso altra via, como ingrato d’ogni beneficio et alienatose da nuy<br />

non senza grande desfavore et manchamento dele cose nostre, maxime non<br />

haveno alcuna casone né rasone de così fare” lui, duca, gli toglie quel territorio<br />

e manda a riprendere, in nome suo, quella terra e fortezza il consigliere ducale<br />

Sceva de Curte, cui tutti gli abitanti presteranno “el debito iuramento de fidelità<br />

et obe<strong>di</strong>entia”.<br />

Angelo Simonetta, consigliere dello stesso Sforza, informa che l’infedeltà<br />

colleonesca era stata preannunciata tempo ad<strong>di</strong>etro allo Sforza. L’aveva messo<br />

sull’avviso (“Collionem cum Venetis conspirantem retineret”) il marchese <strong>di</strong><br />

Mantova, Luigi (Ludovico) III Gonzaga.<br />

La stessa cosa gli aveva insinuato “priusquam in hiberna mitteretur, in eum<br />

animadvertendum suadens” il conte e condottiero Gaspare da Vimercate.<br />

Nonostante tanti vali<strong>di</strong> e autorevoli, oltre che amichevoli avvertimenti, “his<br />

conflictatus Franciscus...nihil statuendum fore putavit quod hominem multis sibi<br />

devictum beneficiis et qui praeterea a Venetis multis magnis pollicitationibus<br />

sollicitaturus in officio mansisset” (xxiv,662) 4 . E neppure l’aveva scosso nella<br />

fiducia nel Colleone l’insolito suo <strong>di</strong>lazionare nella richiesta del rinnovo<br />

dell’ingaggio, il cui tempo scadeva alle calende <strong>di</strong> aprile. Mentre nei precedenti<br />

anni vi si affrettava affermando “Me<strong>di</strong>olanensium ducem nequaquam dum<br />

vixisse deferturum”, quest’anno proclamava (quantunque si fosse già vincolato<br />

con Venezia) “se liberum esse et decrevisse nemini obstringi” (xxiv, 667) 5 .<br />

Tutto questo avveniva, si potrebbe <strong>di</strong>re, alla vigilia della pace <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong> (9.4.1454)<br />

e <strong>di</strong> quell’evento, che dava un periodo <strong>di</strong> relativa quiete bellica all’Italia fino alla<br />

calata nella Penisola <strong>di</strong> Carlo VIII (1494-95).<br />

Nelle pagine delle <strong>missive</strong> si fa una accidentale menzione <strong>di</strong> colui che fu il<br />

tessitore degli accor<strong>di</strong> fra i contendenti, l’agostiniano Simone da Camerino.<br />

Fa <strong>di</strong> lui fuggevolmente parola lo Sforza scrivendo a Luchina dal Verme per<br />

perorare (6.6.1454) il rilascio <strong>di</strong> Antonio da Varese. “El venerabile frate Simone<br />

da Camerino, qual molto fo operato per la conclusione della presente pace, ne<br />

ha pregato et facto gran<strong>di</strong>ssima instantia che vogliamo operare con vuy la<br />

liberatione de Antonio da Varese”.<br />

Neppure viene dato risalto nel testo a chi tanto prestò fatica e intelligenza per<br />

una conclusione a un conflitto che <strong>di</strong> sua natura si portava a esaurimento. Il<br />

personaggio è Paolo Barbo, oratore <strong>di</strong> Venezia. Angelo Simonetta nella citata<br />

sua Storia lo ritrae “patricium, iureconsultum et magnae auctoritatis virum,<br />

legatum primum Cremam deinde ad Franciscum”. Ed é proprio lo Sforza che a<br />

lui si rivolge (19.4.1454) per sapere se le terre che il Colleoni teneva sia<br />

obbligato, per i capitoli <strong>di</strong> pace, restituirle a Venezia. Infatti, nella lettera che lo<br />

Sforza ha inviato il <strong>16</strong> aprile 1454 al suo cancelliere Giovanni da Milano aveva<br />

confermato <strong>di</strong> essere stato da lui informato <strong>di</strong> quello che il giorno precedente<br />

aveva “exequito in consignare ali magnifici Rectori da Bergamo quelle terre,<br />

vallate e forteze”. Gli aveva scritto, invece, “vogli retornare da nuy senza stare<br />

ad aspectare la resposta de Venetia delle terre che tene Bartholomeo Colione,<br />

perché ad quelle se gli provederà opportunamente, como se intenderà la<br />

voluntà d’essa illustrissima signoria de Venetia”. Nella missiva del 19.4.1454<br />

lo Sorza comunicava al Barbo che il Colleoni, con poco garbo e in arretrato sul<br />

saputo, gli aveva mandato a <strong>di</strong>re, tramite il suo famiglio Ferazino, <strong>di</strong> essere<br />

passato ai servizi <strong>di</strong> Venezia. La notizia non presenta grande interesse se non<br />

per il bizzarro corollario che vi appone lo Sforza. “la qual cosa ad nuy piace<br />

quando sia in benefitio d’essa illustre signoria”. L’ulteriore aggiunta: ”ne manda<br />

4 L.A.MURATORI, Rerum….<br />

5 L.A.MURATORI, Rerum….

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