Frammentazione ambientale, connettività, reti ecologiche
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140 Connettività<br />
lo specifico, alle aree naturali protette (si veda ad esempio Margules e Usher,<br />
1981), pur se alcuni dubbi su una sua applicazione acritica vennero sottolineati fin<br />
dagli anni ’70 (Simberloff e Abele, 1976).<br />
Individuazione, selezione, perimetrazione di aree protette<br />
Sulla base di quanto esposto si è sviluppato un filone di ricerca, oramai da qualche<br />
decennio, mirato alla definizione dei criteri scientifici necessari per individuare,<br />
selezionare e perimetrare parchi e riserve naturali o sistemi di riserve. In particolare,<br />
si è focalizzata l’attenzione su alcuni parametri dimensionali, spaziali e qualitativi<br />
delle aree protette (superficie, forma, collocazione spaziale, numero, tipologia,<br />
“qualità” ecc.) e sul valore che questi ultimi dovrebbero assumere per massimizzare<br />
l’efficacia del sistema e assolvere agli obiettivi di conservazione che, di<br />
volta in volta, vengono prefissati (si vedano Wilcox e Murphy, 1985; Soulé e Simberloff,<br />
1986; Soulé e Orians, 2001 ed il dibattito SLOSS in Simberloff e Abele,<br />
1982) 1 . Questi argomenti sono stati ampiamente dibattuti a livello teorico ed in parte<br />
criticati riguardo alla loro utilità in situazioni reali. Ad esempio, è stato fatto notare<br />
come raramente sia possibile scegliere a priori le aree ottimali per la definizione<br />
di un sistema di aree protette. Spesso, infatti, specialmente in aree temperate, si<br />
agisce a posteriori su ambiti territoriali già trasformati dall’opera dell’uomo e nei<br />
quali le aree protette vengono individuate ed istituite lì ove persistono aree naturali<br />
o seminaturali residue (Saunders et al., 1991). Inoltre, al di là di considerazioni teoriche<br />
e strettamente <strong>ecologiche</strong> e biogeografiche, un gran numero di altre variabili<br />
culturali, politiche ed economiche locali possono rivelarsi determinanti per la scelta<br />
dei siti ove istituire le aree protette (Soulé e Simberloff, 1986). Proprio a tale pro-<br />
1 Sull’argomento sono, ormai, disponibili sintesi e revisioni bibliografiche, oltre ad una corposa letteratura<br />
alla quale si rimanda per eventuali approfondimenti (es., Chapman e Reiss, 1994; Massa e Ingegnoli, 1999;<br />
Prendergast et al., 1998, ecc.). In estrema sintesi molti Autori suggeriscono come:<br />
- sia più opportuno istituire un gruppo di riserve vicine piuttosto che un gruppo di riserve fra loro distanti;<br />
- le riserve di grandi dimensioni possono essere più efficaci rispetto a quelle di piccole dimensioni (ma esistono<br />
diverse eccezioni; v. testo);<br />
- la disposizione “raggruppata” (a cluster) è preferibile ad una disposizione “allineata”;<br />
- le riserve dovrebbero essere fra loro connesse, avere una forma compatta e uno sviluppo ridotto di ambienti<br />
marginali (Margules e Usher, 1981; vedi anche il dibattito SLOSS, acronimo di Single Large Or Several Small);<br />
- infine, l’area circostante dovrebbe essere composta da ambienti simili e permeabili alle specie che si vogliono<br />
conservare. Pickett e Thompson (1978) aggiungono che le aree protette dovrebbero, fra l’altro, includere<br />
“sorgenti di ricolonizzazione” interne (per minimizzare il rischio di estinzione delle popolazioni).<br />
Tuttavia alcune fra queste assunzioni sono state criticate da Margules et al. (1982).