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Frammentazione ambientale, connettività, reti ecologiche

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Questo cambiamento di scala ha portato ecologi e biologi della conservazione a<br />

confrontarsi con le altre discipline del territorio (ad esempio, agronomiche, forestali,<br />

urbanistiche) e con quelle forze politiche, economiche, sociali che svolgono un<br />

ruolo determinante nelle scelte di pianificazione.<br />

Tale confronto trasversale, benché culturalmente positivo, ha mostrato tuttavia<br />

alcuni aspetti problematici. Uno fra questi è relativo al fatto che professionalità differenti<br />

utilizzano approcci e linguaggi settoriali, spesso reciprocamente incomprensibili<br />

(Haila, 1985; Soulé, 1986). Inoltre, nonostante il paradigma delle <strong>reti</strong> <strong>ecologiche</strong><br />

sia entrato a far parte del linguaggio consolidato della pianificazione non si può<br />

affermare che siano di dominio comune, fra i tecnici delle diverse discipline, quelle<br />

ragioni che stanno a monte di tale strategia. A tal proposito gli ecologi hanno sottolineato<br />

come l’enfasi assegnata al settore della pianificazione delle <strong>reti</strong> <strong>ecologiche</strong><br />

non corrisponda ad un’analoga conoscenza dei problemi di conservazione da parte<br />

di chi redige i piani, anche a causa di un coinvolgimento spesso marginale delle<br />

professionalità naturalistiche, le sole capaci di analizzare ed interpretare fattori e<br />

processi ecologici. A tali discipline invece è assegnato, nella gran parte dei casi, un<br />

ruolo descrittivo nel quadro conoscitivo dei piani, mentre scarso o nullo è il loro<br />

contributo nel relativo quadro programmatico e progettuale.<br />

Conseguentemente nella redazione dei piani sono frequentemente inserite cartografie<br />

realizzate sulla base di scarse, se non assenti, analisi di tipo ecologico-funzionale<br />

e senza seguire metodologie appropriate e coerenti con le conoscenze sull’argomento.<br />

Tutto ciò può rendere un’ipotesi di pianificazione carente sotto il profilo<br />

scientifico oltre che di dubbia efficacia conservazionistica.<br />

Inoltre, una possibile conseguenza di tale carenza conoscitiva, e di uno scarso<br />

coinvolgimento delle professionalità naturalistiche nel processo di piano, è che il<br />

concetto di rete ecologica venga abusato, divenendo una tendenza alla moda nella<br />

pianificazione e perdendo così di significato.<br />

Un altro aspetto riguarda la netta dicotomia che esiste tra il mondo accademico<br />

e i tecnici che lavorano nel campo dell’ecologia applicata, del wildlife<br />

management, della pianificazione <strong>ambientale</strong>. Prendergast et al. (1998) hanno sottolineato<br />

come chi pianifica può non essere a conoscenza delle problematiche <strong>ecologiche</strong><br />

conseguenti alle trasformazioni antropiche; viceversa, il mondo della ricerca<br />

stenta a fornire metodologie applicabili al “mondo reale” che siano efficaci e<br />

speditive, quindi utili ad indirizzare le scelte di piano (i tempi con i quali sono redatti<br />

i piani dagli enti territoriali sono, nella gran parte dei casi, estremamente ridotti<br />

rispetto a quelli necessari per condurre analisi specifiche sugli effetti della<br />

frammentazione).<br />

Esiste quindi la necessità di diffondere le conoscenze riguardanti questo settore,

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