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Frammentazione ambientale, connettività, reti ecologiche

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<strong>Frammentazione</strong> <strong>ambientale</strong> 57<br />

frammento, meno individui di quella specie potrà ospitare; inoltre, più esso è isolato,<br />

minore sarà il numero di individui che potranno raggiungerlo: in entrambi i casi<br />

aumenteranno le probabilità che la popolazione possa estinguersi localmente (Pickett<br />

e Thompson, 1978; Saunders et al., 1991).<br />

Sulla base di queste considerazioni si può affermare che, ad una determinata<br />

scala, più il grado di frammentazione di un’area si mostra elevato, maggiori saranno<br />

le probabilità che determinate specie sensibili potranno essere soggette a scomparsa<br />

locale (Kareiva e Wennergren, 1995; Tilman et al., 1994).<br />

La scomparsa locale di singole popolazioni di una data specie può provocare effetti<br />

più ampi sulla sua distribuzione a scala regionale (e a livello di metapopolazione; Davies<br />

et al., 2001). Tali estinzioni possono provocare, poi, ricadute a livelli ecologici superiori,<br />

come quello di comunità (cfr. par. 1.6), con una riduzione del numero di specie<br />

originarie, l’alterazione dei rapporti interspecifici, il verificarsi di turnover di specie, la<br />

modifica dei parametri strutturali biocenotici, come verrà accennato più avanti.<br />

L’effetto lag<br />

Un effetto insidioso legato alla frammentazione è il ritardo con il quale alcune<br />

popolazioni possono estinguersi localmente rispetto all’inizio del processo. In altre<br />

11 Per descrivere lo status di una popolazione o di una specie è determinante la conoscenza di alcuni parametri<br />

come la distribuzione geografica, la struttura demografica, la dimensione (o il volume) ed in particolare<br />

la dimensione effettiva (vale a dire il numero di individui in grado di riprodursi; di seguito indicata con Ne).<br />

In popolazioni presenti in frammenti residui di habitat la dimensione effettiva di specifiche popolazioni può<br />

risultare molto ridotta.<br />

Fra gli obiettivi delle strategie di conservazione rientra proprio quello di impedire che il valore (indicativo)<br />

di Ne sia, in linea generale e tra i vertebrati, inferiore a 50 – 500 individui, e che si mantenga tale per molte<br />

generazioni. In linea estremamente generale, una popolazione è a rischio di estinzione se presenta quindi<br />

una Ne dell’ordine delle centinaia di individui (Saunders et al., 1991; Randi, 1993; 10-1000 secondo Seal et<br />

al., 1989).<br />

Il concetto di Minima Popolazione Vitale (Minimum Viable Population; MVP) ha ottenuto grande attenzione<br />

da parte dei biologi della conservazione (Seal et al., 1989). Tale concetto, utile per analisi quantitative<br />

del rischio di estinzione delle popolazioni, ha lo scopo di valutare il numero minimo di individui che mantengono<br />

una popolazione al di fuori dell’azione di fattori casuali (demografici, genetici, ambientali) e che<br />

permettono una sua sopravvivenza in tempi lunghi (95 % di probabilità di sopravvivenza per almeno 100<br />

anni: Durant, 2000; si veda anche Gilpin e Soulé, 1986). Tale valore varia da specie a specie e, in seno alla<br />

stessa specie, può variare nel tempo e in diverse circostanze.<br />

Il processo con il quale si ricava il valore della Minima Popolazione Vitale è detto PVA (Population Viability<br />

Analysis). Attraverso questa analisi è possibile stimare la probabilità di persistenza di una popolazione<br />

prendendo in esame tutti i fattori di rischio che possono influenzarla, anche attraverso la simulazione di processi<br />

stocastici, non prevedibili (Randi, 1993; Durant, 2000). Per un esempio italiano di analisi della probabilità<br />

di sopravvivenza a medio termine di alcune specie di anfibi si veda Balletto e Giacoma (1993).

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