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Appunti per il corso di Fisica Matematica Daniele Andreucci ...

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166 DANIELE ANDREUCCIquesto <strong>per</strong>ò non è vero <strong>per</strong> problemi <strong>di</strong> e.d.p. più generali, ove la <strong>di</strong>stinzionetra soluzioni deboli e classiche è effettiva. Dunque è importantesv<strong>il</strong>uppare tecniche <strong>per</strong> trattare le soluzioni deboli.Si potrebbe anche <strong>di</strong>mostrare che J 1 ha in effetti un minimo u ∈ K 1 (sottoipotesi opportune su u 0 e Ω nel cui dettaglio non entriamo). □18.1.1. Le formulazione debole è troppo forte? Quando si definisce unasoluzione debole, è necessario accertarsi che una soluzione classica (ammessoche esista) sod<strong>di</strong>sfi tale definizione, ossia sia anche soluzione debole.Questogarantisce che non stiamo introducendonelproblema restrizioniindebite, estranee alla sua formulazione originale.Teorema 18.3. Una u ∈ C 2 (Ω)∩C 1 (Ω) che sia soluzione <strong>di</strong> (1.20)–(1.21) insenso classico, ne è anche soluzione debole.Dimostrazione. Vanno verificate le tre richieste della Definizione 18.1:a) regolarità: u ∈ C 1 (Ω) <strong>per</strong> ipotesi;b) equazione <strong>di</strong>fferenziale (in forma integrale), ossia la (18.1): se u ∈C 2 (Ω) basta integrare <strong>per</strong> parti∫ ∫0 = ϕ ∆udx = − ∇u·∇ ϕdx,Ω<strong>per</strong> ogni ϕ ∈ C 1 (Ω) con ϕ = 0 su ∂Ω. Se u ∈ C 1 (Ω), ma non valeu ∈ C 2 (Ω), la (18.1) segue ancora approssimando la ϕ con funzioni inC 1 (Ω) che si annullino su un intorno <strong>di</strong> ∂Ω. Omettiamo i dettagli.c) dato al bordo: u = u 0 su ∂Ω <strong>per</strong> ipotesi. □Osservazione 18.4. Si potrebbeobiettareche in effett<strong>il</strong>a soluzione classicadefinitanelCapitolo 2 nonè<strong>per</strong>forza<strong>di</strong>classe C 2 (Ω)∩C 1 (Ω), ma solo<strong>di</strong>classe C 2 (Ω)∩CΩ. In effetti, esistono soluzioni classiche che non appartengonoaC1 (Ω), e quin<strong>di</strong> non possonoesseresoluzioni deboli secondolaDefinizione 18.1. In genere questa viene ritenuta una questione attinentealla regolarità delle soluzioni che non tocca <strong>il</strong> significato del problema; inaltri termini si assume <strong>per</strong> la soluzione classica tutta la regolarità necessaria<strong>per</strong> <strong>di</strong>mostrare che è anche debole (come nel Teorema 18.3). Non èdetto <strong>per</strong>ò che sia sempre possib<strong>il</strong>e trascurare questo aspetto. □18.1.2. La formulazione debole è troppo debole? La definizione <strong>di</strong> soluzionideboli quin<strong>di</strong> deve essere abbastanza generale da includere almenole soluzioni classiche; d’altra parte, non deve essere troppo generale. Peresempio, in linea <strong>di</strong> principio, potremmo omettere la richiesta c) relativaal dato al bordo dalla Definizione 18.1, e <strong>il</strong> Teorema 18.3 sarebbe ancoravalido. È chiaro <strong>per</strong>ò che le ‘soluzioni deboli’ in questa nuova accezionenon conserverebbero traccia della con<strong>di</strong>zione al bordo; in particolare esisterebberoinfinite ‘soluzioni deboli’ ciascuna relativa a un <strong>di</strong>verso dato albordo.Per evitare rischi sim<strong>il</strong>i, in generesi ritiene necessario <strong>di</strong>mostrare un risultato<strong>di</strong> unicità <strong>di</strong> soluzioni deboli, che garantisca che le richieste fatte sullaΩ•

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