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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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collocati. Fece oltre ciò nella chiesa di Capella, luogo de’ monaci di Monte Oliveto, due statue<br />

grandi di tutto rilievo, bellissime; dopo cominciò una statua di Carlo Quinto imperatore quando<br />

tornò da Tunisi, e quella, abbozzata e subbiata in alcuni luoghi, rimase gradinata, perché la fortuna e<br />

la morte, invidiando al mondo tanto bene, ce lo tolsero d’anni trentacinque. E certo, se Girolamo<br />

vivea, si sperava che, sì come aveva nella sua professione avanzati tutti quelli della sua patria, così<br />

avesse a superare tutti gl’artefici del tempo suo. Onde dolse a’ Napoletani infinitamente la morte di<br />

lui, e tanto più quanto egli era stato dalla natura dotato non pure di bellissimo ingegno, ma di tanta<br />

modestia, umanità e gentilezza quanto più non si può in uomo desiderare; per che non è maraviglia<br />

se tutti coloro che lo conobbono, quando di lui ragionano non possono tenere le lacrime. L’ultime<br />

sue sculture furono l’anno 1537, nel quale anno fu sotterrato in Napoli con onoratissime essequie,<br />

rimanendo anco vivo il detto Giovanni da Nola, vecchio et assai pratico scultore, come si vede in<br />

molte opere fatte in Napoli con buona pratica ma con non molto disegno. A costui fece lavorare don<br />

Petro di Tolledo marchese di Villafranca, et allora veceré di Napoli, una sepoltura di marmo per sé<br />

e per la sua donna; nella quale opera fece Giovanni una infinità di storie delle vittorie ottenute da<br />

quel signore contra i Turchi, con molte statue che sono in quell’opera, tutta isolata e condotta con<br />

molta diligenza. Doveva questo sepolcro esser portato in Ispagna; ma non avendo ciò fatto mentre<br />

visse quel signore, si rimase in Napoli. Morì Giovanni d’anni settanta, e fu sotterrato in Napoli<br />

l’anno 1558.<br />

Quasi ne’ medesimi tempi che il Cielo fece dono a Ferrara, anzi al mondo, del divino Lodovico<br />

Ariosto, nacque il Dosso pittore nella medesima città, il quale, se bene non fu così raro tra i pittori<br />

come l’Ariosto tra i poeti, si portò nondimeno per sì fatta maniera nell’arte, che oltre all’essere state<br />

in gran pregio le sue opere in Ferrara, meritò anco che il dotto poeta, amico e dimestico suo, facesse<br />

di lui onorata memoria ne’ suoi celebratissimi scritti: onde al nome del Dosso ha dato maggior fama<br />

la penna di messer Lodovico che non fecero tutti i pennelli e’ colori ch’e’ consumò in tutta sua vita.<br />

Onde io per me confesso che grandissima ventura è quella di coloro che sono da così grandi uomini<br />

celebrati, perché il valor della penna sforza infiniti a dar credenza alle lodi di quelli, ancorché<br />

interamente non le meritino.<br />

Fu il Dosso molto amato dal duca Alfonso di Ferrara, prima per le sue qualità nell’arte della pittura,<br />

e poi per essere uomo affabile molto e piacevole, della quale maniera d’uomini molto si dilettava<br />

quel Duca. Ebbe in Lombardia nome il Dosso di far meglio i paesi che alcun altro che di quella<br />

pratica operasse, o in muro o a olio o a guazzo, massimamente da poi che si è veduta la maniera<br />

tedesca. Fece in Ferrara nella chiesa catedrale una tavola con figure [<strong>II</strong>. 181] a olio tenuta assai<br />

bella, e lavorò nel palazzo del Duca molte stanze in compagnia d’un suo fratello detto Battista, i<br />

quali sempre furono nimici l’uno dell’altro, ancorché per voler del Duca lavorassero insieme.<br />

Fecero di chiaro scuro nel cortile di detto palazzo istorie d’Ercole, et una infinità di nudi per quelle<br />

mura. Similmente per tutta Ferrara lavorarono molte cose in tavola et in fresco; e di lor mano è una<br />

tavola nel Duomo di Modena; et in Trento, nel palazzo del cardinale, in compagnia d’altri pittori<br />

fecero molte cose di lor mano. Ne’ medesimi tempi, facendo Girolamo Genga, pittore et<br />

architettore, per il duca Francesco Maria d’Urbino, sopra Pesero, al palazzo dell’Imperiale molti<br />

ornamenti, come al suo luogo si dirà, fra molti pittori che a quell’opera furono condotti per ordine<br />

del detto signor Francesco Maria, vi furono chiamati Dosso e Battista ferraresi, massimamente per<br />

far paesi, avendo molto innanzi fatto in quel palazzo molte pitture Francesco di Mirozzo da Forlì,<br />

Raffaello dal Colle del Borgo a Sansepolcro e molti altri. Arrivati dunque il Dosso e Battista<br />

all’Imperiale, come è usanza di certi uomini così fatti, biasimarono la maggior parte di quelle cose<br />

che videro, e promessero a quel signore di voler essi fare cose molto migliori; per che il Genga, che<br />

era persona accorta, vedendo dove la cosa doveva riuscire, diede loro a dipignere una camera da per<br />

loro. Onde essi messesi a lavorare, si sforzarono con ogni fatica e studio di mostrare la virtù loro.<br />

Ma qualunque si fusse di ciò la cagione, non fecero mai in tutto il tempo di lor vita alcuna cosa<br />

meno lodevole, anzi peggio di quella. E pare che spesso avvenga che gl’uomini nei maggior’<br />

bisogni e quando sono in maggior aspettazione, abagliandosi et acecandosi il giudizio, facciano<br />

peggio che mai: il che può forse avvenire dalla loro malignità e cattiva natura di biasimare sempre

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