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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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Onde l’affettuosa fantasia,<br />

Che l’arte mi fece idolo e monarca,<br />

Cognosco or ben quant’era d’error carca,<br />

E quel ch’a mal suo grado ognun desia.<br />

Gli amorosi pensier’, già vani e lieti,<br />

Che fien or, s’a due morti mi avicino?<br />

D’una so certo, e l’altra mi minaccia.<br />

Né pinger né scolpir fia più che queti<br />

L’anima, volta a quello Amor divino<br />

Ch’aperse, a prender noi, in croce le braccia.<br />

Per il che si vedeva che andava ritirando verso Dio e lasciando le cure dell’arte, per le persecuzioni<br />

de’ suoi maligni artefici e per colpa di alcuni soprastanti della fabbrica, che arebbono voluto, come<br />

e’ diceva, menar le mani. Fu risposto per ordine del duca Cosimo a Michelagnolo dal Vasari con<br />

poche parole in una lettera, confortandolo al rimpatriarsi, e col sonetto medesimo corrispondente<br />

alle rime. Sarebbe volentieri partitosi di Roma Michelagnolo; ma era tanto stracco et invecchiato,<br />

che aveva, come si dirà più basso, stabilito tornarsene; ma la volontà era pronta, inferma la carne<br />

che lo riteneva in Roma. Et avvenne di giugno l’anno 1557, avendo egli fatto modello della volta<br />

che copriva la nicchia che si faceva di trevertino [<strong>II</strong>. 764] alla cappella del Re, che nacque, per non<br />

vi potere ire come soleva, uno errore, che il capo maestro in sul corpo di tutta la volta prese la<br />

misura con una centina sola, dove avevano a essere infinite. Michelagnolo, come amico e<br />

confidente del Vasari, gli mandò di sua mano disegni, con queste parole scritte a piè di dua:<br />

La centina segnata di rosso la prese il capo maestro sul corpo di tutta la volta; di poi, come si cominciò<br />

âpressar al mezzo tondo, che è nel colmo di detta volta, s’accorse dell’errore che faceva detta centina,<br />

come si vede qui nel disegno, ché con una centina sola si governava, dove hanno a essere infinite, come<br />

son qui nel disegno le segnate di nero. Con questo errore e ita la volta tanto innanzi, ch’e’ s’ha a disfare<br />

un gran numero di pietre, perché in detta volta non ci va nulla di muro, ma tutto trivertino, et il diametro<br />

de’ tondi, ch’è, senza la cornice gli ricigne, di 22 palmi. Questo errore, avendo il modello fatto appunto,<br />

come fo d’ogni cosa, è stato fatto per non vi potere andare spesso per la vecchiezza; e dove io credetti<br />

che ora fussi finita detta volta, non sarà finita in tutto questo verno; e se si potessi morire di vergogna e<br />

dolore, io non sarei vivo. Pregovi che raguagliate il Duca ché io non sono ora a Fiorenza.<br />

E seguitando nell’altro disegno, dove egli aveva disegnato la pianta, diceva così:<br />

Messer Giorgio. Perché sia meglio inteso la dificultà della volta che io vi mandai disegnata, ve ne<br />

mando la pianta, che non la mandai allora. Cioè detta volta, per osservare il nascimento suo fino di terra,<br />

è stato forza dividerla in tre volte in luogo delle finestre da basso divise dai pilastri, come vedete, che e’<br />

vanno piramidati in mezzo, dentro del colmo della volta, come fa il fondo e ‘ lati delle volte ancora; e<br />

bisogna governarle con un numero infinito di centine, e tanto fanno mutazione e per tanti versi di punto<br />

in punto, che non ci si può tener regola ferma: e ‘ tondi e ‘ quadri, che vengono nel mezzo de’ lor fondi,<br />

hanno a diminuire e crescere per tanti versi e andare a tanti punti, che è dificil cosa a trovare il modo<br />

vero. Nondimeno, avendo il modello, come fo di tutte le cose, non si doveva mai pigliare sì grande<br />

errore di volere con una centina sola governare tutt’a tre que’ gusci, onde n’è nato ch’è bisognato, con<br />

vergogna e danno, disfare, e disfassene ancora un gran numero di pietre. La volta, e i conci e i vani, è<br />

tutta di trivertino, come l’altre cose da basso, cosa non usata a Roma.<br />

Fu assoluto dal duca Cosimo Michelagnolo, vedendo questi inconvenienti, del suo venire più a<br />

Fiorenza, dicendogli che aveva più caro il suo contento e che seguitasse San Piero, che cosa che<br />

potessi avere al mondo, e che si quietassi. Onde Michelagnolo scrisse al Vasari inella medesima<br />

carta che ringraziava il Duca quanto sapeva e poteva di tanta carità, dicendo: “Dio mi dia grazia<br />

ch’io possa servirlo di questa povera persona”, ché la memoria e ‘l cervello erano iti aspettarlo<br />

altrove (la data di questa lettera fu d’agosto l’anno 1557); avendo per questo Michelagnolo

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