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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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vede, basta aver così brevemente fattone uno schizzo, che è gran lume a chi non vi ha nessuna<br />

cognizione.<br />

Fu la fine di questo modello, fatto con grandissima satisfazione non solo di tutti gli amici suoi, ma<br />

di tutta Roma, il fermamento e [<strong>II</strong>. 769] stabilimento di quella fabbrica. Seguì che morì Paulo<br />

Quarto e fu creato dopo di lui Pio Quarto, il quale, facendo seguitare di murare il palazzetto del<br />

bosco di Belvedere a Pirro Ligorio, restato architetto del Palazzo, fece offerte e carezze assai a<br />

Michelagnolo. Il motuproprio avuto prima da Paulo Terzo e da Iulio Terzo e Paulo Quarto sopra la<br />

fabbrica di San Piero gli confermò, e gli rendé una parte delle entrate e provisioni tolte da Paulo<br />

Quarto, adoperandolo in molte cose delle sue fabriche, et a quella di San Piero nel tempo suo fece<br />

lavorare gagliardamente. Particolarmente se ne servì nel fare un disegno per la sepoltura del<br />

marchese Marignano suo fratello, la quale fu allogata da Sua Santità per porsi nel Duomo di Milano<br />

al cavalier Lione Lioni aretino, scultore eccellentissimo, molto amico di Michelagnolo, che a suo<br />

luogo si dirà della forma di questa sepoltura. Et in quel tempo il cavaliere Lione ritrasse in una<br />

medaglia Michelagnolo molto vivacemente, et aùccompiacenza di lui gli fece nel rovescio un cieco<br />

guidato da un cane, con queste lettere attorno: DOCEBO INIQUOS VIAS TUAS ET IMP<strong>II</strong> AD TE<br />

CONVERTENTUR. E perché gli piacque assai, gli donò Michelagnolo un modello d’uno Ercole<br />

che scoppia Anteo, di suo mano, di cera, con certi suoi disegni. Di Michelagnolo non ci è altri<br />

ritratti che duoi di pittura, uno di mano del Bugiardino e l’altro di Iacopo del Conte, et uno di<br />

bronzo di tutto rilievo fatto da Daniello Ricciarelli, e questo del cavalier Lione, da e’ quali se n’è<br />

fatte tante copie, che n’ho visto, in molti luoghi di Italia e fuori, assai numero. Andò il medesimo<br />

anno Giovanni cardinale de’ Medici, figliuolo del duca Cosimo, a Roma per il cappello a Pio IV, e<br />

convenne, come suo servitore e familiare, al Vasari andar seco, che volentieri vi andò e vi stette<br />

circa un mese per godersi Michelagnolo, che l’ebbe carissimo e di continuo gli fu a torno. Aveva<br />

portato seco il Vasari, per ordine di Sua Eccellenza, il modello di legno di tutto il palazzo ducale di<br />

Fiorenza, insieme coi disegni delle stanze nuove che erano state murate e dipinte da lui, quali<br />

desiderava Michelagnolo vedere in modello e disegno, poi che, sendo vecchio, non poteva vedere<br />

l’opere, le quali erano copiose, diverse e con varie invenzioni e capricci, che cominciavano dalla<br />

Castrazione di Cielo, Saturno, Opi, Cerere, Giove, Giunone, Ercole, che in ogni stanza era uno di<br />

questi nomi, con le sue istorie in diversi partimenti; come ancora l’altre camere e sale, che erano<br />

sotto queste, avevano il nome degli eroi di casa Medici, cominciando da Cosimo Vecchio, Lorenzo,<br />

Leone Decimo, Clemente Settimo, e ‘l signor Giovanni e ‘l duca Alessandro eùduca Cosimo; nelle<br />

quali per ciascuna erano non solamente le storie de’ fatti loro, ma loro ritratti e de’ figliuoli e di<br />

tutte le persone antiche, così di governo come d’arme e di lettere, ritratte di naturale. Delle quali<br />

aveva scritto il Vasari un Dialogo, ove si dichiarava tutte le istorie et il fine di tutta l’invenzione, e<br />

come le favole di sopra s’accomodassino alle istorie di sotto, le quali gli fur lette da Anibal Caro,<br />

che n’ebbe grandissimo piacere Michelagnolo. Questo Dialogo, come arà più tempo il Vasari, si<br />

manderà fuori.<br />

Queste cose causorono che, desiderando il Vasari di metter mano alla sala grande, e perché era,<br />

come s’è detto altrove, il palco basso, che la faceva nana e cieca di lumi, et avendo desiderio di<br />

alzarla, [<strong>II</strong>. 770] non si voleva risolvere il duca Cosimo a dargli licenzia ch’ella si alzasse. Non che<br />

‘l Duca temesse la spesa, come s’è visto poi, ma il pericolo di alzare i cavagli del tetto 13 braccia<br />

sopra; dove Sua Eccellenza, come giudiziosa, consentì che s’avessi il parere da Michelagnolo, visto<br />

in quel modello la sala come era prima, poi levato tutti que’ legni e postovi altri legni, con nuova<br />

invenzione del palco e delle facciate, come s’è fatto da poi, e disegnata in quella insieme<br />

l’invenzione delle istorie: che piaciutagli, ne diventò sùbito non giudice, ma parziale, vedendo<br />

anche il modo e la facilità dello alzare i cavagli e ‘l tetto, et il modo di condurre tutta l’opera in<br />

breve tempo. Dove egli scrisse nel ritorno del Vasari al Duca che seguitassi quella impresa, che<br />

l’era degna della grandezza sua. Il medesimo anno andò a Roma il duca Cosimo con la signora<br />

duchessa Leonora sua consorte, e Michelagnolo arrivato il Duca, lo andò a vedere sùbito; il quale,<br />

fattogli molte carezze, lo fece, stimando la sua gran virtù, sedere a canto a sé, e con molta<br />

domestichezza ragionandogli di tutto quello che Sua Eccell[enza] aveva fatto fare di pittura e di

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