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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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nelle spalle largo, ma ben proporzionato con tutto il resto del corpo. Alle gambe portò invecchiando<br />

di continuovo stivali di pelle di cane sopra lo ignudo i mesi interi, che, quando gli voleva cavare,<br />

poi nel tirargli ne veniva spesso la pelle. Usava sopra le calze stivali di cordovano afibiati di drento<br />

per amore degli umori. La faccia era ritonda, la fronte quadrata e spaziosa con sette linee diritte, e le<br />

tempie sportavano in fuori più delle orecchie assai; le quali orecchie erano più presto alquanto<br />

grandi e fuor delle guance. Il corpo era a proporzione della faccia e più tosto grande; il naso<br />

alquanto stiacciato, come si disse nella Vita del Torrigiano, che gliene ruppe con un pugno. Gli<br />

occhi più tosto piccoli che no, di color corneo, macchiati di scintille giallette azzurricine; le ciglia<br />

con pochi peli, le labra sottili, e quel di sotto più grossetto et alquanto infuori; il mento ben<br />

composto alla proporzione del resto; la barba e ‘ capegli neri, sparsa con molti peli canuti, lunga<br />

non molto e biforcata, e non molto folta. Certamente fu al mondo la sua venuta, come dissi nel<br />

principio, uno esemplo mandato da Dio agli uomini dell’arte nostra, perché s’imparassi da lui nella<br />

vita sua i costumi, e nelle opere come avevano a essere i veri et ottimi artefici. Et io, che ho da<br />

lodare Dio d’infinite felicità, che raro suole accadere negli uomini della professione nostra,<br />

annovero fra le maggiori una: esser nato in tempo che Michelagnolo sia stato vivo, e sia stato degno<br />

che io l’abbia avuto per padrone, e che egli mi sia stato tanto famigliare et amico quanto sa ognuno,<br />

e le lettere sue scrittemi ne fanno testimonio apresso di me. E per la verità e per l’obligo che io ho<br />

alla sua amorevolezza ho potuto scrivere di lui molte cose, e tutte vere, che molti altri non hanno<br />

potuto fare. L’altra felicità è come mi diceva egli: “Giorgio, riconosci Dio, che t’ha fatto servire il<br />

duca Cosimo, che, per contentarsi che tu muri e dipinga e metta in opera i suoi pensieri e disegni,<br />

non ha curato spesa; dove, se tu consideri agli altri di [<strong>II</strong>. 782] chi tu hai scritto le Vite, non hanno<br />

avuto tanto”.<br />

Fu con onoratissime essequie, col concorso di tutta l’Arte e di tutti gli amici suoi e della nazione<br />

fiorentina, dato sepoltura a Michelagnolo in Santo Apostolo in un deposito nel cospetto di tutta<br />

Roma, avendo disegnato Sua Santità di farne far particolare memoria e sepoltura in San Piero di<br />

Roma. Arrivò Lionardo suo nipote che era finito ogni cosa, quantunque andasse in poste. Et avutone<br />

aviso il duca Cosimo, il quale aveva disegnato che, poi che non l’aveva potuto aver vivo et<br />

onorarlo, di farlo venire a Fiorenza e non restare con ogni sorte di pompa onorarlo dopo la morte, fu<br />

ad uso di mercanzia mandato in una balla segretamente: il quale modo si tenne acciò in Roma non<br />

s’avesse a fare romore, e forse essere impedito il corpo di Michelagnolo e non lasciato condurre in<br />

Firenze. Ma innanzi che il corpo venisse, intesa la nuova della morte, ragunatisi insieme, a richiesta<br />

del Luogotenente della loro Accademia, i principali pittori, scultori et architetti, fu ricordato loro da<br />

esso Luogotenente, che allora era il reverendo don Vincenzio Borghini, che erano ubligati, in virtù<br />

de’ loro capitoli, ad onorare la morte di tutti i loro fratelli, e che avendo essi ciò fatto sì<br />

amorevolmente e con tanta sodisfazione universale nell’essequie di fra’ Giovan Agnolo Montorsoli,<br />

che primo dopo la creazione dell’Accademia era mancato, vedessero bene quello che fare si<br />

convenisse per l’onoranza del Buonarruoto, il quale da tutto il corpo della Compagnia e con tutti i<br />

voti favorevoli era stato eletto primo accademico e capo di tutti loro. Alla quale proposta risposero<br />

tutti, come ubbligatissimi et affezionatissimi alla virtù di tant’uomo, che per ogni modo si facesse<br />

opera di onorarlo in tutti que’ modi che per loro si potessino maggiori e migliori. Ciò fatto, per non<br />

avere ogni giorno a ragunare tante gente insieme con molto scomodo loro, e perché le cose<br />

passassero più quietamente, furono eletti sopra l’essequie et onoranza da farsi quattro uomini:<br />

Agnolo Bronzino e Giorgio Vasari pittori, Benvenuto Cellini e Bartolommeo Amannati scultori,<br />

tutti di chiaro nome e d’illustre valore nelle lor arti, acciò, dico, questi consultassono e fermassono<br />

fra loro e col Luogotenente quanto, che e come si avesse a fare ciascuna cosa, con facultà di poter<br />

disporre di tutto il corpo della Compagnia et Accademia. Il quale carico presero tanto più volentieri,<br />

offerendosi, come fecero di bonissima voglia, tutti i giovani e ‘ vecchi, ciascuno nella sua<br />

professione, di fare quelle pitture e statue che s’avessono a fare in quell’onoranza. Dopo ordinarono<br />

che il Luogotenente, per debito del suo uffizio, et i consoli in nome della Compagnia et Accademia<br />

significassero il tutto al signor Duca e chiedessono quegli aiuti e favori che bisognavano, e<br />

specialmente che le dette essequie si potessono fare in San Lorenzo, chiesa dell’illustrissima casa

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