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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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vecchio, fino che faceva il Giudizio di Cappella, col ristorarsi la sera, quando aveva finito la<br />

giornata, pur parchissimamente; ché, se bene era ricco, viveva da povero, né amico nessuno mai<br />

mangiò seco o di rado, né voleva presenti di nessuno, perché pareva, come uno gli donava qualcosa,<br />

d’essere sempre obligato a colui. La qual sobrietà lo faceva essere vigilantissimo e di pochissimo<br />

sonno, e bene spesso la notte si levava, non potendo dormire, a lavorare con lo scarpello, avendo<br />

fatto una celata di cartoni, e sopra il mezzo del capo teneva accesa la candela, la quale con questo<br />

modo rendeva lume dove egli lavorava, senza impedimento delle mani. Et il Vasari, che più volte<br />

vidde la celata, considerò che non adoperava cera, ma candele di sevo di capra schietto, che sono<br />

eccellenti, e gliene mandò quattro mazzi, che erano quaranta libbre. Il suo servitore garbato gliene<br />

portò alle dua ore di notte, e presentategliene, Michelagnolo ricusava che non le voleva; gli disse:<br />

“Messere, le m’hanno rotto per di qui in Ponte le braccia, né le vo’ riportare a casa, che dinanzi al<br />

vostro uscio ci è una fanghiglia soda e starebbono ritte agevolmente: io le accenderò tutte”.<br />

Michelagnolo gli disse: “Posale costì, che io non voglio che tu mi faccia le baie a l’uscio”. Dissemi<br />

che molte volte nella sua gioventù dormiva vestito, come quello che, stracco dal lavoro, non curava<br />

di spogliarsi per aver poi a rivestirsi. Sono alcuni che l’hanno tassato essere avaro; questi<br />

s’ingannano, perché sì delle cose dell’arte come delle facultà ha mostro il contrario. Delle cose<br />

dell’arte si vede aver donato, come s’è detto, e a messer Tommaso de’ Cavalieri, a messer Bindo et<br />

a fra’ Bastiano disegni che valevano assai; ma a Antonio Mini suo creato tutti i disegni, tutti i<br />

cartoni, il quadro della Leda, tutti i suoi modegli e di cera e di terra che fece mai, che, come s’è<br />

detto, rimasono tutti in Francia; a Gherardo Perini, gentiluomo fiorentino suo amicissimo, in tre<br />

carte alcune teste di matita nera divine, le quali sono dopo la morte di lui venute in mano dello<br />

illustrissimo don Francesco principe di Fiorenza, che le tiene per gioie, come le sono. A Bartolomeo<br />

Bettini fece e donò un cartone d’una Venere con Cupido che la bacia, che è cosa divina, oggi<br />

appresso agli eredi in Fiorenza; e per il marchese del Vasto fece un cartone d’un Noli me tangere,<br />

cosa rara, che l’uno e l’altro dipinse eccellentemente il Puntormo, come s’è detto. Donò i duoi<br />

Prigioni al signor Ruberto Strozzi, et a Antonio suo servitore et a Francesco Bandini la Pietà ch’e’<br />

roppe, di marmo. Né so quel che si possa tassar d’avarizia questo uomo, avendo donato tante cose<br />

che se ne sarebbe cavato migliaia di scudi. Che si può egli dire, se non che io so, che mi ci son<br />

trovato, che ha fatto più disegni e ito a vedere più pitture e più muraglie, né mai ha voluto niente?<br />

Ma venia[<strong>II</strong>. 778]mo ai danari guadagnati col suo sudore, non con entrate, non con cambi, ma con<br />

lo studio e fatica sua: se si può chiamare avaro chi soveniva molti poveri, come faceva egli, e<br />

maritava segretamente buon numero di fanciulle, et arricchiva chi lo aiutava nell’opere e chi lo<br />

servì, come Urbino suo servidore, che lo fece ricchissimo, et era suo creato, che l’aveva servito<br />

molto tempo, e gli disse: “Se io mi muoio, che farai tu?”. Rispose: “Servirò un altro”. “Oh povero a<br />

te,” gli disse Michelagnolo, “io vo’ riparare alla tua miseria”; e gli donò scudi dumila in una volta,<br />

cosa che è solita da farsi per i Cesari e ‘ Pontefici grandi. Senzaché al nipote ha dato per volta tre e<br />

quattro mila scudi, e nel fine gli ha lassato scudi 10000, senza le cose di Roma. È stato<br />

Michelagnolo di una tenace e profonda memoria, che nel vedere le cose altrui una sol volta l’ha<br />

ritenute sì fattamente e servitosene in una maniera che nessuno se n’è mai quasi accorto; né ha mai<br />

fatto cosa nessuna delle sue che riscontri l’una con l’altra, perché si ricordava di tutto quello che<br />

aveva fatto. Nella sua gioventù, sendo con gli amici sua pittori, giucorno una cena a chi faceva una<br />

figura che non avessi niente di disegno, che fussi goffa, simile a que’ fantocci che fanno coloro che<br />

non sanno et imbrattano le mura. Qui si valse della memoria, perché ricordatosi aver visto in un<br />

muro una di queste gofferie, la fece come se l’avessi avuta dinanzi di tutto punto, e superò tutti que’<br />

pittori: cosa dificile in uno uomo tanto pieno di disegno, avvezzo a cose scelte, che ne potessi uscir<br />

netto. È stato sdegnoso, e giustamente, verso di chi gli ha fatto ingiuria; non però s’è visto mai esser<br />

corso alla vendetta, ma sì bene più tosto pazientissimo, et in tutti i costumi modesto, e nel parlare<br />

molto prudente e savio, con risposte piene di gravità et alle volte con motti ingegnosi, piacevoli et<br />

acuti. Ha detto molte cose che sono state da noi notate, delle quali ne metteremo alcune, perché<br />

sarìa lungo a descriverle tutte. Essendogli ragionato della morte da un suo amico, dicendogli che<br />

doveva assai dolergli, sendo stato in continove fatiche per le cose dell’arte né mai avuto ristoro,

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