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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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In questo tempo il detto Antonio da Trento, che stava seco per intagliare, una mattina che Francesco<br />

era ancora in letto, apertogli un forziere gli furò tutte le stampe di rame e di legno e quanti disegni<br />

avea, et andatosene col diavolo, non mai più se ne seppe nuova. Tuttavia riebbe Francesco le<br />

stampe, avendole colui lasciate in Bologna a un suo amico, con animo forse di riaverle con qualche<br />

comodo; ma i disegni non poté già mai riavere. Per che mezzo disperato tornando a dipignere,<br />

ritrasse per aver danari non so che conte bolognese, e dopo fece un quadro di Nostra Donna con un<br />

Cristo che tiene una palla di mappamondo. Ha la Madonna bellissima aria, et il Putto è similmente<br />

molto naturale, perciò che egli usò di far sempre nel volto de’ putti una vivacità propriamente<br />

puerile, che fa conoscere certi spiriti acuti e maliziosi che hanno bene spesso i fanciulli. Abbigliò<br />

ancora la Nostra Donna con modi straordinarii, vestendola d’un abito che avea le maniche di veli<br />

gialletti e quasi vergati d’oro, che nel vero avea bellissima grazia, facendo parere [<strong>II</strong>. 235] le carni<br />

vere e delicatissime, oltra che non si possono vedere capegli dipinti meglio lavorati. Questo quadro<br />

fu dipinto per messer Pietro Aretino; ma venendo in quel tempo papa Clemente a Bologna,<br />

Francesco glielo donò: poi, comunche s’andasse la cosa, egli capitò alle mani di messer Dionigi<br />

Gianni, et oggi l’ha messer Bartolomeo suo figliuolo, che l’ha tanto accommodato, che ne sono<br />

state fatte, cotanto è stimato, cinquanta copie. Fece il medesimo alle monache di Santa Margherita<br />

in Bologna, in una tavola, una Nostra Donna, Santa Margherita, San Petronio, San Girolamo e San<br />

Michele, tenuta in somma venerazione, sì come merita, per essere nell’aria delle teste e in tutte<br />

l’altre parti come le cose di questo pittore sono tutte quante. Fece ancora molti disegni, e<br />

particolarmente alcuni per Girolamo del Lino, et a Girolamo Fagiuoli orefice e intagliatore, che gli<br />

cercò per intagliargli in rame, i quali disegni sono tenuti graziosissimi. Fece a Bonifazio Gozadino<br />

il suo ritratto di naturale e quello della moglie, che rimase imperfetto. Abbozzò anco un quadro<br />

d’una Madonna, il quale fu poi venduto in Bologna a Giorgio Vasari aretino, che l’ha in Arezzo<br />

nelle sue case nuove e da lui fabricate, con molte altre nobili pitture, sculture e marmi antichi.<br />

Quando l’imperadore Carlo Quinto fu a Bologna perché l’incoronasse Clemente Settimo,<br />

Francesco, andando talora a vederlo mangiare, fece senza ritrarlo l’imagine di esso Cesare a olio in<br />

un quadro grandissimo, et in quello dipinse la Fama che lo coronava di lauro et un fanciullo in<br />

forma d’un Ercole piccolino che gli porgeva il mondo quasi dandogliene il dominio. La quale opera<br />

finita che fu, la fece vedere a papa Clemente, al quale piacque tanto che mandò quella e Francesco<br />

insieme, accompagnati dal vescovo di Vasona, allora datario, all’imperadore; onde essendo molto<br />

piaciuta a Sua Maestà, fece intendere che si lasciasse: ma Francesco, come mal consigliato da un<br />

suo poco fedele o poco saputo amico, dicendo che non era finita, non la volle lasciare; e così Sua<br />

Maestà non l’ebbe, et egli non fu, come sarebbe stato senza dubbio, premiato. Questo quadro,<br />

essendo poi capitato alle mani del cardinale Ipolito de’ Medici, fu donato da lui al cardinale di<br />

Mantoa, et oggi è in guardaroba di quel duca, con molte altre belle e nobilissime pitture.<br />

Dopo essere stato Francesco, come si è detto, tanti anni fuor della patria e molto esperimentatosi<br />

nell’arte, senza aver fatto però acquisto nessuno di facultà ma solo d’amici, se ne tornò finalmente,<br />

per sodisfare a molti amici e parenti, a Parma; dove arrivato, gli fu sùbito dato a lavorare in fresco<br />

nella chiesa di Santa Maria della Steccata una volta assai grande; ma perché inanzi alla volta era un<br />

arco piano che girava secondo la volta a uso di faccia, si mise a lavorare prima quello come più<br />

facile, e vi fece sei figure, due colorite e quattro di chiaro scuro molto belle, e fra l’una e l’altra<br />

alcuni molto belli ornamenti che mettevano in mezzo rosoni di rilievo, i quali egli da sé, come<br />

capriccioso, si mise a lavorare di rame, facendo in essi grandissime fatiche. In questo medesimo<br />

tempo fece al cavalier Baiardo, gentiluomo parmigiano e suo molto familiare amico, in un quadro<br />

un Cupido che fabrica di sua mano un arco, a piè del quale fece due putti, che sedendo uno piglia<br />

l’altro per un braccio, e ridendo vuol che tocchi Cupido con un dito, e quegli, che non vuol toccarlo,<br />

piange mostrando aver paura di non cuocersi al fuoco d’Amore. [<strong>II</strong>. 236] Questa pittura, che è vaga<br />

per colorito, ingegnosa per invenzione e graziosa per quella sua maniera che è stata ed è<br />

dagl’artefici e da chi si diletta dell’arte imitata et osservata molto, è oggi nello studio del signor<br />

Marcantonio Cavalca, erede del cavalier Baiardo, con molti disegni che ha raccolti di mano del<br />

medesimo, bellissimi e ben finiti d’ogni sorte, sì come sono ancora quelli che pur di mano di

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