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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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curando, lo lasciò a Raffaello Montelupo; e andato a Roma, finì a messer Ruberto Strozzi due molto<br />

graziose figure di marmo, cioè il Marte e la Venere che sono nel cortile della sua casa in Banchi.<br />

Dopo, fatta una storia di figurine piccole, quasi di tondo rilievo, nella quale è Diana che con le sue<br />

Ninfe si bagna e converte Atteon in cervio, il quale è mangiato da’ suoi proprii cani, se ne venne a<br />

Firenze e la diede al signor duca Cosimo, il quale molto disiderava di servire; onde Sua<br />

Ecc[ellenza] avendo accettata e molto commendata l’opera, non mancò al disiderio del Moschino,<br />

come non ha mai mancato a chi ha voluto in alcuna cosa virtuosamente operare. Per che, messolo<br />

nell’Opera del Duomo di Pisa, ha insino a ora con sua molta lode fatto nella cappella della<br />

Nunziata, stata fatta da Stagio da Pietrasanta con gl’intagli et ogni altra cosa, l’Angelo e la<br />

Madonna in figure di quattro braccia; nel mezzo Adamo ed Eva che hanno in mezzo il pomo, et un<br />

Dio Padre grande, con certi putti nella volta della detta cappella tutta di marmo, come sono anco le<br />

due statue, che al Moschino hanno acquistato assai nome et onore. E perché la detta cappella è poco<br />

meno che finita, ha dato ordine Sua Eccell[enza] che si metta mano alla cappella a dirimpetto a<br />

questa, detta dell’Incoronata, cioè sùbito all’entrare di chiesa a man manca. Il medesimo Moschino,<br />

nell’apparato della serenissima reina Giovanna e dell’illustrissimo prencipe di Firenze, si è portato<br />

molto bene in quell’opere che gli furono date a fare.<br />

VITE <strong>DI</strong> GIROLAMO E <strong>DI</strong> BARTOLOMEO GENGA<br />

E <strong>DI</strong> GIOVAMBATTISTA SAN MARINO<br />

GENERO <strong>DI</strong> GIROLAMO<br />

[<strong>II</strong>. 503] Girolamo Genga, il quale fu da Urbino, essendo da suo padre di dieci anni messo all’Arte<br />

della Lana, perché l’essercitava malissimo volentieri, come gli era dato luogo e tempo, di nascoso<br />

con carboni e con penne da scrivere andava disegnando. La qual cosa vedendo alcuni amici di suo<br />

padre, l’essortarono a levarlo da quell’arte e metterlo alla pittura: onde lo mise in Urbino appresso<br />

di certi maestri di poco nome; ma veduta la bella maniera che avea e ch’era per far frutto, com’egli<br />

fu di XV anni, lo accomodò con maestro Luca Signorelli da Cortona, in quel tempo nella pittura<br />

maestro eccellente, col quale stette molti anni, e lo seguitò nella Marca d’Ancona, in Cortona et in<br />

molti [<strong>II</strong>. 504] altri luoghi, dove fece opere, e particolarmente ad Orvieto; nel Duomo della qual<br />

città fece, come s’è detto, una cappella di Nostra Donna con infinito numero di figure, nella quale<br />

continuamente lavorò detto Girolamo, e fu sempre de’ migliori discepoli ch’egli avesse. Partitosi<br />

poi da lui, si mise con Pietro Perugino, pittore molto stimato, col quale stette tre anni incirca, et<br />

attese assai alla prospettiva, che da lui fu tanto ben capita e bene intesa, che si può dire che ne<br />

divenisse eccellentissimo, sì come per le sue opere di pittura e di architettura si vede: e fu nel<br />

medesimo tempo che con il detto Pietro stava il divino Raffaello da Urbino, che di lui era molto<br />

amico. Partitosi poi da Pietro, se n’andò da sé a stare in Fiorenza, dove studiò tempo assai. Dopo<br />

andato a Siena, vi stette appresso di Pandolfo Petrucci anni e mesi, in casa del quale dipinse molte<br />

stanze, che per essere benissimo disegnate e vagamente colorite meritorno essere viste e lodate da<br />

tutti i Senesi, e particolarmente dal detto Pandolfo, dal quale fu sempre benissimo veduto et<br />

infinitamente accarezzato.<br />

Morto poi Pandolfo, se ne tornò a Urbino, dove Guidobaldo duca Secondo lo trattenne assai tempo,<br />

facendogli dipignere barde da cavallo che si usavano in que’ tempi, in compagnia di Timoteo da<br />

Urbino, pittore di assai buon nome e di molta esperienzia, insieme col quale fece una cappella di S.<br />

Martino nel vescovado per messer Giovampiero Arivabene mantovano, allora vescovo d’Urbino,<br />

nella quale l’uno e l’altro di loro riuscì di bellissimo ingegno, sì come l’opera istessa dimostra, nella<br />

qual è ritratto il detto vescovo che pare vivo. Fu anco particolarmente trattenuto il Genga dal detto

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