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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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Venne volontà ad Agnolo Doni, cittadino fiorentino, amico suo, sì come quello che molto si<br />

dilettava aver cose belle così d’antichi come di moderni artefici, d’avere alcuna cosa di<br />

Michelagnolo; per che gli cominciò un tondo di pittura, dentrovi una Nostra Donna, la quale,<br />

inginocchiata con amendua le gambe, ha in sulle braccia un putto e porgelo a Giuseppo che lo<br />

riceve; dove Michelagnolo fa conoscere, nello svoltare della testa della madre di Cristo e nel tenere<br />

gli occhi fissi nella somma bellezza del Figliuolo, la maravigliosa sua contentezza e lo affetto del<br />

farne parte a quel santissimo vecchio, il quale con pari amore, tenerezza e reverenza lo piglia, come<br />

benissimo si scorge nel volto suo senza molto considerarlo. Né bastando questo a Michelagnolo, per<br />

mostrare maggiormente l’arte sua essere gran[<strong>II</strong>. 725]dissima, fece nel campo di questa opera molti<br />

ignudi, appoggiati, ritti et a sedere, e con tanta diligenza e pulitezza lavorò questa opera, che<br />

certamente delle sue pitture in tavola, ancora che poche sieno, è tenuta la più finita e la più bella<br />

opera che si truovi. Finita che ella fu, la mandò a casa Agnolo, coperta, per un mandato insieme con<br />

una poliz[z]a, e chiedeva settanta ducati per suo pagamento. Parve strano ad Agnolo, che era<br />

assegnata persona, spendere tanto in una pittura, se bene e’ conoscesse che più valesse: e disse al<br />

mandato che bastavano quaranta, e gliene diede; onde Michelagnolo gli rimandò indietro,<br />

mandandogli a dire che cento ducati o la pittura gli rimandasse indietro. Per il che Agnolo, a cui<br />

l’opera piaceva, disse: “Io gli darò quei 70”; et egli non fu contento, anzi per la poca fede d’Agnolo<br />

ne volle il doppio di quel che la prima volta ne aveva chiesto: per che, se Agnolo volse la pittura, fu<br />

forzato mandargli 140. Avvenne che, dipignendo Lionardo da Vinci, pittore rarissimo, nella Sala<br />

grande del Consiglio, come nella Vita sua è narrato, Piero Soderini, allora gonfaloniere, per la gran<br />

virtù che egli vidde in Michelagnolo, gli fece allogagione d’una parte di quella sala; onde fu<br />

cagione che egli facesse a concorrenza di Lionardo l’altra facciata, nella quale egli prese per<br />

subietto la guerra di Pisa. Per il che Michelagnolo ebbe una stanza nello Spedale de’ Tintori a Santo<br />

Onofrio, e quivi cominciò un grandissimo cartone: né però volse mai che altri lo vedesse. E lo<br />

empié di ignudi, che bagnandosi per lo caldo nel fiume d’Arno, in quello stante si dava a l’arme nel<br />

campo, fingendo che li inimici li assalissero; e mentre che fuor delle acque uscivano per vestirsi i<br />

soldati, si vedeva dalle divine mani di Michelagnolo chi affrettare lo armarsi per dare aiuto a’<br />

compagni, altri affibbiarsi la corazza e molti mettersi altre armi indosso, et infiniti combattendo a<br />

cavallo cominciare la zuffa. Eravi fra l’altre figure un vecchio che aveva in testa per farsi ombra una<br />

grillanda di ellera, il quale, postosi a sedere per mettersi le calze, e non potevano entrargli per avere<br />

le gambe umide dell’acqua, e sentendo il tumulto de’ soldati e le grida et i romori de’ tamburini,<br />

affrettando tirava per forza una calza; et oltra che tutti i muscoli e ‘ nervi della figura si vedevano,<br />

faceva uno storcimento di bocca, per il quale dimostrava assai quanto e’ pativa e che egli si<br />

adoperava fin alle punte de’ piedi. Eranvi tamburini ancora, e figure che, coi panni avvolti, ignudi<br />

correvano verso la baruffa; e di stravaganti attitudini si scorgeva chi ritto, chi ginocchioni, o piegato<br />

o sospeso a giacere, et in aria attaccati con iscorti difficili. V’erano ancora molte figure aggruppate<br />

et in varie maniere abbozzate, chi contornato di carbone, chi disegnato di tratti, e chi sfumato e con<br />

biacca lumeggiato, volendo egli mostrare quanto sapesse in tale professione. Per il che gli artefici<br />

stupiti et ammirati restorono, vedendo l’estremità dell’arte in tal carta per Michelagnolo mostrata<br />

loro. Onde veduto sì divine figure, dicono alcuni, che le viddero, di man sua e d’altri ancora non [s’]<br />

essere mai più veduto cosa che della divinità dell’arte nessuno alto ingegno possa arrivarla mai. E<br />

certamente è da credere, perciò che, da poi che fu finito e portato alla Sala del Papa con gran<br />

romore dell’arte e grandissima gloria di Michelagnolo, tutti coloro che su quel cartone studiarono e<br />

tal cosa disegnarono, come poi si seguitò molti anni in Fiorenza per forestieri e per terrazza[<strong>II</strong>.<br />

726]ni, diventarono persone in tale arte eccellenti, come vedemo; poi che in tale cartone studiò<br />

Aristotile da S. Gallo, amico suo, Ridolfo Ghirlandaio, Raffael Sanzio da Urbino, Francesco<br />

Granaccio, Baccio Bandinelli et Alonso Berugetta spagnuolo; seguitò Andrea del Sarto, il Francia<br />

Bigio, Iacopo Sansovino, il Rosso, Maturino, Lorenzetto, e ‘l Tribolo, allora fanciullo, Iacopo da<br />

Puntormo e Pierin del Vaga, i quali tutti ottimi maestri fiorentini furono. Per il che, essendo questo<br />

cartone diventato uno studio d’artefici, fu condotto in casa Medici nella sala grande di sopra: e tal<br />

cosa fu cagione che egli troppo a securtà nelle mani degli artefici fu messo; per che nella infermità

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