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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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Avendo il prencipe Doria in Genova fatto un palazzo su la marina, et a Perin del Vaga pittor<br />

celebratissimo fatto far sale, camere et anticamere a olio et a fre[<strong>II</strong>. 188]sco, che per la ricchezza e<br />

per la bellezza delle pitture sono maravigliosissime, perché in quel tempo Perino non frequentava<br />

molto il lavoro, acciò che per isprone e per concorrenza facesse quel che non faceva per se<br />

medesimo, fece venire il Pordenone; il quale cominciò uno terrazzo scoperto, dove lavorò un fregio<br />

di fanciulli con la sua solita maniera, i quali vòtano una barca piena di cose maritime, che girando<br />

fanno bellissime attitudini. Fece ancora una storia grande quando Giasone chiede licenza al zio per<br />

andare per il vello dell’oro. Ma il prencipe, vedendo il cambio che faceva dall’opera di Perino a<br />

quella del Pordenone, licenziatolo, fece venire in suo luogo Domenico Beccafumi sanese, eccellente<br />

e più raro maestro di lui; il quale, per servire tanto prencipe, non si curò d’abbandonare Siena sua<br />

patria, dove sono tante opere maravigliose di sua mano. Ma in quel luogo non fece se non una storia<br />

sola e non più, perché Perino condusse ogni cosa da sé ad ultimo fine.<br />

A Giovanni Antonio dunque, ritornato a Vinegia, fu fatto intendere come Ercole duca di Ferrara<br />

aveva condotto di Alemagna un numero infinito di maestri, et a quegli fatto cominciare a far panni<br />

di seta, d’oro, di filaticci e di lana, secondo l’uso e voglia sua: ma che non avendo in Ferrara<br />

disegnatori buoni di figure (perché Girolamo da Ferrara era più atto a’ ritratti et a cose appartate che<br />

a storie terribili, dove bisognasse la forza dell’arte e del disegno), che andasse a servire quel<br />

signore. Ond’egli, non meno desideroso d’acquistare fama che facultà, partì da Vinegia, e nel suo<br />

giugner a Ferrara dal Duca fu ricevuto con molte carezze. Ma poco dopo la sua venuta, assalito da<br />

gravissimo affanno di petto, si pose nel letto per mezzo morto; dove aggravando del continuo, in tre<br />

giorni o poco più, senza potervisi rimediare, d’anni 56 finì il corso della sua vita. Parve ciò cosa<br />

strana al Duca e similmente agli amici di lui, e non mancò chi per molti mesi credesse lui di veleno<br />

esser morto. Fu sepolto il corpo di Giovan Antonio onorevolmente, e della morte sua n’increbbe a<br />

molti, et in Vinegia specialmente, perciò che Giovanni Antonio aveva prontezza nel dire, era amico<br />

e compagno di molti, e si dilettava della musica, e, perché aveva dato opera alle lettere latine, aveva<br />

prontezza e grazia nel dire. Costui fece sempre le sue figure grandi, fu ricchissimo d’invenzioni et<br />

universale in fingere bene ogni cosa: ma sopratutto fu risoluto e prontissimo nei lavori a fresco.<br />

Fu suo discepolo Pomponio Amalteo da S. Vito, il quale per le sue buone qualità meritò d’esser<br />

genero del Pordenone. Il quale Pomponio, seguitando sempre il suo maestro nelle cose dell’arte, si è<br />

portato molto bene in tutte le sue opere, come si può vedere in Udine nei portigli degl’organi nuovi,<br />

dipinti a olio, sopra i quali, nella faccia di fuori, è Cristo che caccia i negozianti del tempio, e dentro<br />

è la storia della Probatica Piscina con la Resurrezione di Lazzero. Nella chiesa di S. Francesco della<br />

medesima città è di mano del medesimo, in una tavola a olio, un S. Francesco che riceve le<br />

stimmate, con alcuni paesi bellissimi, et un levare di sole che manda fuori, di mezzo a certi razzi<br />

lucidissimi, il serafico lume, che passa le mani, i piedi et il costato a San Francesco, il quale, stando<br />

ginocchioni divotamente e pieno d’amore, lo riceve, mentre il compagno si sta posato in terra in<br />

iscorto tutto pieno di stupore. Dipinse ancora in fresco Pomponio ai frati della Vigna, in testa del<br />

reffettorio, Gesù Cristo in mezzo ai due Di[<strong>II</strong>. 189]scepoli in Emaus. Nel castello di S. Vito sua<br />

patria, lontano da Udine venti miglia, dipinse a fresco nella chiesa di S. Maria la capella di detta<br />

Madonna, con tanto bella maniera e sodisfazzione d’ognuno che ha meritato dal reverendissimo<br />

cardinale Maria Grimani, patriarca d’Aquilea e signor di S. Vito, esser fatto de’ nobili di quel luogo.<br />

Ho voluto in questa Vita del Pordenone far memoria di questi eccellenti artefici del Friuli, perché<br />

così mi pare che meriti la virtù loro, e perché si conosca nelle cose che si diranno quanti dopo<br />

questo principio siano coloro che sono stati poi molto più eccellenti, come si dirà nella Vita di<br />

Giovanni Ricamatori da Udine, al quale ha l’età nostra, per gli stucchi e per le grottesche, obligo<br />

grandissimo. Ma tornando al Pordenone, dopo le cose che si sono dette di sopra, state da lui lavorate<br />

in Vinezia al tempo del serenissimo Gritti, si morì, come è detto, l’anno 1540. E perché costui è<br />

stato de’ valenti uomini che abbia avuto l’età nostra, apparendo massimamente le sue figure tonde e<br />

spiccate dal muro e quasi di rilievo, si può fra quelli annoverare che hanno fatto augumento all’arte<br />

e benefizio all’universale.

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