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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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della chiesa de’ Servi in Fiorenza, un San Francesco che riceve le stimmate; la quale opera è molto<br />

dolce di colorito e morbidezza, e lavorata con molta diligenza. E nella chiesa di [<strong>II</strong>. 106] Cestello<br />

intorno al tabernacolo del Sagramento lavorò a fresco due Angeli; e nella tavola d’una cappella<br />

della medesima chiesa fece la Madonna col Figliuolo in braccio, San Giovanni Battista e San<br />

Bernardo et altri Santi. E perché parve ai monaci di quel luogo che si portasse in queste opere molto<br />

bene, gli feciono fare alla loro Badia di Settimo fuor di Fiorenza, in un chiostro, le visioni del conte<br />

Ugo che fece sette badie. E non molto dopo dipinse il Puligo in sul canto di via Mozza da Santa<br />

Caterina in un tabernacolo una Nostra Donna ritta col Figliuolo in collo che sposa Santa Caterina, e<br />

un San Piero martire. Nel castello d’Anghiari fece in una Compagnia un Deposto di croce, che si<br />

può fra le sue migliori opere annoverare. Ma perché fu più sua professione attendere a quadri di<br />

Nostre Donne, ritratti et altre teste che a cose grandi, consumò quasi tutto il tempo in quelle. E se<br />

egli avesse seguitato le fatiche dell’arte e non più tosto i piaceri del mondo, come fece, arebbe fatto<br />

senza alcun dubbio molto profitto nella pittura, e massimamente avendolo Andrea del Sarto, suo<br />

amicissimo, aiutato in molte cose di disegni e di consiglio; onde molte opere di costui si veggiono<br />

non meno ben disegnate che colorite con bella e buona maniera: ma l’aver per suo uso Domenico<br />

non volere durare molta fatica, e lavorare più per fare opere e guadagnare che per fama, fu cagione<br />

che non passò più oltre; per che praticando con persone allegre e di buon tempo e con musici e con<br />

femmine, seguitando certi suoi amori, si morì d’anni cinquantadue, l’anno MDXXV<strong>II</strong>, per avere<br />

presa la peste in casa d’una sua innamorata. Furono da costui i colori con sì buona et unita maniera<br />

adoperati, che [più] per questo merita lode che per altro. Fu suo discepolo fra gl’altri Domenico<br />

Beceri fiorentino, il quale adoperando i colori pulitamente, con buonissima maniera conduce l’opere<br />

sue.<br />

<strong>VITA</strong> <strong>DI</strong> ANDREA <strong>DA</strong> FIESOLE<br />

<strong>Scultore</strong> e d’altri Fiesolani<br />

[<strong>II</strong>. 107] Perché non meno si richiede agli scultori avere pratica de’ ferri che a chi esercita la pittura<br />

quella de’ colori, di qui avviene che molti fanno di terra benissimo, che poi di marmo non<br />

conducono l’opere a veruna perfezzione; et alcuni per lo contrario lavorano bene il marmo, senza<br />

avere altro disegno che un non so che che hanno nell’idea di buona maniera, la imitazione della<br />

quale si trae da certe cose che al giudizio piacciano, e che poi, tolte all’imaginazione, si mettono in<br />

opera. Onde è quasi una maraviglia vedere alcuni scultori che senza saper punto disegnare in carta,<br />

conducono nondimeno coi ferri l’opere loro a buono e lodato fine; come si vide in Andrea di [<strong>II</strong>.<br />

108] Piero di Marco Ferrucci, scultore da Fiesole, il quale nella sua prima fanciullezza imparò i<br />

principii della scultura da Francesco di Simeone Ferucci, scultore da Fiesole. E se bene da principio<br />

imparò solamente a intagliare fogliami, acquistò nondimeno a poco a poco tanta pratica nel fare che<br />

non passò molto che si diede a far figure; di maniera che, avendo la mano resoluta e veloce,<br />

condusse le sue cose di marmo più con un certo giudizio e pratica naturale che per disegno che egli<br />

avesse. Ma nondimeno attese un poco più all’arte quando poi seguitò nel colmo della sua gioventù<br />

Michele Maini scultore, similmente da Fiesole; il quale Michele fece nella Minerva di Roma il San<br />

Sebastiano di marmo che fu tanto lodato in que’ tempi.<br />

Andrea dunque, essendo condotto a lavorare a Imola, fece negl’Innocenti di quella città una<br />

cappella di macigno, che fu molto lodata. Dopo la qual opera se n’andò a Napoli, essendo là<br />

chiamato da Antonio di Giorgio da Settignano, grandissimo ingegneri et architetto del re Ferrante;<br />

appresso al quale era in tanto credito Antonio, che non solo maneggiava tutte le fabriche del regno,<br />

ma ancora tutti i più importanti negozii dello stato. Giunto Andrea in Napoli, fu messo in opera e<br />

lavorò molte cose nel castello di San Martino et in altri luoghi della città per quel re. Ma venendo a

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