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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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dalle proprie mani e da tutta l’affezzione del cuore, all’eccellenza e virtù del maggior pittore, scultore et<br />

architettore che sia mai stato.<br />

Le parole latine furono queste:<br />

COLLEGIUM PICTORUM, STATUARIORUM, ARCHITECTORUM, AUSPICIO<br />

OPEQUE SIBI PROMPTA COSMI DUCIS AUCTORIS SUORUM COMMODORUM,<br />

SUSPICIENS SINGULAREM VIRTUTEM MICHAELIS ANGELI<br />

BONARROTAE INTELLIGENSQUE QUANTO SIBI AUXILIO SEMPER<br />

FUERINT PRAECLARA IPSIUS OPERA,STUDUIT SE GRATUM ERGA ILLUM<br />

OSTENDERE, SUMMUM OMNIUM QUI UNQUAM FUERINT P. S. A.,<br />

IDEOQUE MONUMENTUM HOC SUIS MANIBUS EXTRUCTUM MAGNO<br />

ANIMI ARDORE IPSIUS MEMORIAE DE<strong>DI</strong>CAVIT.<br />

Era questo epitaffio retto da due Angioletti, i quali, con volto piangente e spegnendo ciascuno una<br />

face, quasi si lamentavano essere spenta tanta e così rara virtù. Nel quadro poi che veniva a essere<br />

vòlto verso la porta che va nel chiostro, era quando per l’assedio di Firenze Michelagnolo fece la<br />

fortificazione del poggio a San Miniato, che fu tenuta inespugnabile e cosa maravigliosa; e questo<br />

fu di mano di Lorenzo Sciorini, allievo del Bronzino, giovane di bonissima speranza. Questa parte<br />

più bassa, e come dire la base di tutta la machina, aveva in ciascun canto un piedestallo che<br />

risaltava, e sopra ciascun piedestallo era una statua grande più che il naturale, che sotto n’aveva<br />

un’altra come soggetta e vinta, di simile grandezza, ma raccolta in diverse attitudini e stravaganti.<br />

La prima, a man ritta andando verso l’altare maggiore, era un giovane svelto e nel sembiante tutto<br />

spirito e di bellissima vivacità, figurato per l’Ingegno, con due aliette sopra le tempie, nella guisa<br />

che si dipigne alcuna volta Mercurio. E sotto a questo giovane, fatto con incredibile diligenza, era<br />

con orecchi asinini una bellissima figura fatta per l’Ignoranza, mortal nimica dell’Ingegno; le quali<br />

ambedue statue furono di mano di Vincenzio Danti perugino, del quale e dell’opere sue, che [<strong>II</strong>.<br />

789] sono rare fra i moderni giovani scultori, si parlerà in altro luogo più lungamente.<br />

Sopra l’altro piedestallo, il quale, essendo a man ritta verso l’altare maggiore, guardava verso la<br />

Sagrestia nuova, era una donna fatta per la Pietà cristiana, la quale, essendo d’ogni bontà e religione<br />

ripiena, non è altro che un aggregato di tutte quelle virtù che i nostri hanno chiamate teologiche e di<br />

quelle che furono dai Gentili dette morali; onde meritamente celebrandosi da’ Cristiani la virtù d’un<br />

cristiano ornata di santissimi costumi, fu dato conveniente et onorevole luogo a questa, che<br />

risguarda la legge di Dio e la salute dell’anime, essendo che tutti gl’altri ornamenti del corpo e<br />

dell’animo, dove questa manchi, sono da essere poco, anzi nulla stimati. Questa figura, la quale<br />

avea sotto sé prostrato e da sé calpestato il Vizio, overo l’Impietà, era di mano di Valerio Cioli, il<br />

quale è valente giovane, di bellissimo spirito, e merita lode di molto giudizioso e diligente scultore.<br />

Dirimpetto a questa, dalla banda della Sagrestia vecchia, era un’altra simile figura, stata fatta<br />

giudiziosamente per la dea Minerva, overo l’Arte; perciò che si può dire con verità che, dopo la<br />

bontà de’ costumi e della vita, la quale dee tener sempre appresso i migliori il primo luogo, l’arte<br />

poi sia stata quella che ha dato a quest’uomo non solo onore e facultà, ma anco tanta gloria, che si<br />

può dire lui aver in vita goduto que’ frutti che a pena dopo morte sogliono dalla fama trarne,<br />

mediante l’egregie opere loro, gli uomini illustri e valorosi, e, quello che è più, aver in tanto<br />

superata l’invidia, che senza alcuna contradizione, per consenso comune, ha il grado e nome della<br />

principale e maggiore eccellenza ottenuto. E per questa cagione aveva sotto i piedi questa figura<br />

l’Invidia, la quale era una vecchia secca e distrutta, con occhi viperini, et insomma con viso e<br />

fattezze che tutte spiravano tossico e veleno, et oltre ciò era cinta di serpi et aveva una vipera in<br />

mano. Queste due statue erano di mano d’un giovinetto di pochissima età, chiamato Lazzaro<br />

Calamech da Carrara, il quale ancor fanciullo ha dato infino a oggi in alcune cose di pittura e<br />

scultura gran saggio di bello e vivacissimo ingegno.

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