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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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un Prigion sotto, qual’ sono oggi appresso del duca Cosimo, stati donati da Lionardo suo nipote a<br />

Sua Eccellenza, che la Vittoria l’ha messa nella Sala grande del suo palazzo, dipinta dal Vasari. Finì<br />

il Moisè di 5 braccia, di marmo: alla quale statua non sarà mai cosa moderna alcuna che possa<br />

arrivare di bellezza, e delle antiche ancora si può dire il medesimo; avvengaché egli, con gravissima<br />

attitudine sedendo, posa un braccio in sulle Tavole che egli tiene con una mano, e con l’altra si tiene<br />

la barba, la quale nel marmo svellata e lunga è condotta di sorte che i capegli, dove ha tanta<br />

dificultà la scultura, son condotti sottilissimamente, piumosi, morbidi e sfilati, d’una maniera che<br />

pare impossibile che il ferro sia diventato pennello; et inoltre alla bellezza della faccia, che ha certo<br />

aria di vero, santo e terribilissimo principe, pare che mentre lo guardi abbia voglia di chiedergli il<br />

velo per coprirgli la faccia, tanto splendida e tanto lucida appare altrui. Et ha sì bene ritratto nel<br />

marmo la divinità che Dio aveva messo nel santissimo volto di quello, oltre che vi sono i panni<br />

straforati e finiti con bellissimo girar di lembi, e le braccia di muscoli e le mane di ossature e nervi<br />

sono a tanta bellezza e perfezzione condotte, e le gambe appresso e le ginocchia, et i piedi sotto di sì<br />

fatti calzari accomodati, et è finito talmente ogni lavoro suo, che Moisè può più oggi che mai<br />

chiamarsi amico di Dio, poi che tanto innanzi agli altri ha voluto mettere insieme e preparargli il<br />

corpo per la sua ressurrezione per le mani di Michelagnolo. E séguitino gli Ebrei di andare, come<br />

fanno ogni sabato, a schiera, e maschî e femine, come gli storni a visitarlo et adorarlo, ché non cosa<br />

umana ma divina adoreranno.<br />

[<strong>II</strong>. 728] Dove finalmente pervenne allo accordo e fine di questa opera, la quale, delle quattro parti,<br />

se ne murò poi in San Piero in Vincola una delle minori. Dicesi che, mentre che Michelagnolo<br />

faceva questa opera, venne a Ripa tutto il restante de’ marmi per detta sepoltura, che erano rimasti a<br />

Carrara, e’ quali fur fatti condurre cogl’altri sopra la piazza di San Pietro: e perché bisognava<br />

pagarli a chi gli aveva condotti, andò Michelagnolo, come era solito, al Papa; ma avendo Sua<br />

Santità in quel dì cosa che gli importava per le cose di Bologna, tornò a casa e pagò di suo detti<br />

marmi, pensando averne l’ordine sùbito da Sua Santità. Tornò un altro giorno per parlare al Papa, e<br />

trovato dificultà a entrare, perché un palafreniere gli disse che avessi pazienzia, che aveva<br />

commessione di non metterlo drento, fu detto da un vescovo al palafreniere: “Tu non conosci forse<br />

questo uomo”. “Troppo ben lo conosco, - disse il palafrenieri - ma io son qui per far quel che m’è<br />

commesso da’ miei superiori e dal Papa”. Dispiacque questo atto a Michelagnolo, e parendogli il<br />

contrario di quello che aveva provato innanzi, sdegnato rispose al palafrenieri del Papa che gli<br />

dicessi che da qui innanzi, quando lo cercava Sua Santità, essere ito altrove; e tornato alla stanza, a<br />

due ore di notte montò in sulle poste, lasciando a due servitori che vendessino tutte le cose di casa ai<br />

giudei e lo seguitassero a Fiorenza, dove egli s’era avviato. Et arrivato a Poggibonzi, luogo sul<br />

<strong>Fiorentino</strong>, sicuro si fermò: né andò guari che cinque corrieri arrivorono con le lettere del Papa per<br />

menarlo indietro, che né per preghi né per la lettera che gli comandava che tornasse a Roma sotto<br />

pena della sua disgrazia, al che fare non volse intendere niente; ma i prieghi de’ corrieri finalmente<br />

lo svolsono a scrivere due parole in risposta a Sua Santità, che gli perdonassi che non era per<br />

tornare più alla presenzia sua, poi che l’aveva fatto cacciare via come un tristo, e che la sua fedel<br />

servitù non meritava questo, e che si provedessi altrove di chi lo servissi.<br />

Arrivato Michelagnolo a Fiorenza, attese a finire, in tre mesi che vi stette, il cartone della Sala<br />

grande, che Pier Soderini gonfaloniere desiderava che lo mettessi in opera. Imperò venne alla<br />

Signoria in quel tempo tre brevi, che dovessino rimandare Michelagnolo a Roma; per il che egli,<br />

veduto questa furia del Papa, dubitando di lui, ebbe, secondo che si dice, voglia di andarsene in<br />

Gostantinopoli a servire il Turco (per mezzo di certi frati di san Francesco), che desiderava averlo<br />

per fare un ponte che passassi da Gostantinopoli a Pera. Pure, persuaso da Pier Soderini allo andare<br />

a trovare il Papa, ancorché non volessi, come persona publica, per assicurarlo, con titolo<br />

d’imbasciadore della città, finalmente lo raccomandò al cardinale Soderini suo fratello che lo<br />

introducessi al Papa, [e] lo inviò a Bologna, dove era già di Roma venuto Sua Santità. Dicesi ancora<br />

in altro modo questa sua partita di Roma: che il Papa si sdegnassi con Michelagnolo, il quale non<br />

voleva lasciar vedere nessuna delle sue cose, e che avendo sospetto de’ suoi, dubitando, come fu più<br />

d’una volta, che vedde quel che faceva, travestito, a certe occasioni che Michelagnolo non era in

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