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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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Roma cosa alcuna notabile la quale non disegnassono. E perché quando il Papa era in palazzo non<br />

potevano così stare a disegnare, sùbito che Sua Santità cavalcava, come spesso faceva, alla<br />

Magliana, entravano per mezzo d’amici in dette stanze a disegnare, e vi stavano dalla mattina alla<br />

sera senza mangiare altro che un poco di pane e quasi assiderandosi di freddo. Essendo poi dal<br />

cardinale Salviati ordinato a Francesco che dipignesse a fresco nella cappella del suo palazzo, dove<br />

ogni mattina udiva Messa, alcune storie della vita di San Giovanni Battista, si diede Francesco a<br />

studiare ignudi di naturale, e Giorgio con esso lui, in una stufa quivi vicina; e dopo feciono in<br />

Camposanto alcune notomie. Venuta poi la primavera, essendo il cardinale Ipolito mandato dal<br />

Papa in Ungheria, ordinò che esso Giorgio fusse mandato a Firenze e che quivi lavorasse alcuni<br />

quadri e ritratti che aveva da mandare a Roma. Ma il luglio vegnente, fra per le fatiche del verno<br />

passato et il caldo della state, amalatosi Giorgio, in ceste fu portato in Arezzo, con molto dispiacere<br />

di Francesco, il quale infermò anch’egli e fu per morire. Pure guarito Francesco, gli fu per mezzo<br />

d’Antonio Abaco, maestro di legname, dato a fare da maestro Filippo da Siena, sopra la porta di<br />

dietro di Santa Maria della Pace, in una nicchia a fresco, un Cristo che parla a San Filippo, et in due<br />

angoli la Vergine e l’Angelo che l’annunzia: le quali pitture, piacendo molto a mastro Filippo,<br />

furono cagione che facesse fare nel medesimo luogo, in un quadro grande, che non era dipinto,<br />

dell’otto faccie di quel tempio, un’Assunzione di Nostra Donna. [<strong>II</strong>. 630] Onde considerando<br />

Francesco avere a fare quest’opera non pure in luogo publico, ma in luogo dove erano pitture<br />

d’uomini rarissimi, di Raffaello da Urbino, del Rosso, di Baldassarri da Siena e d’altri, mise ogni<br />

studio e diligenza in condurla a olio nel muro: onde gli riuscì bella pittura e molto lodata, e fra<br />

l’altre è tenuta bonissima figura il ritratto che vi fece del detto maestro Filippo con le mani giunte. E<br />

perché Francesco stava, come s’è detto, col cardinale Salviati et era conosciuto per suo creato,<br />

cominciando a essere chiamato e non conosciuto per altro che per Cecchino Salviati, ha avuto<br />

insino alla morte questo cognome. Essendo morto Papa Clemente Settimo e creato Paulo Terzo,<br />

fece dipignere messer Bindo Altoviti, nella facciata della sua casa in ponte Sant’Agnolo, da<br />

Francesco l’arme di detto nuovo Pontefice, con alcune figure grandi et ignude, che piacquero<br />

infinitamente. Ritrasse ne’ medesimi tempi il detto messer Bindo, che fu una molto buona figura et<br />

un bel ritratto; ma questo fu poi mandato alla sua villa di San Mizzano in Valdarno, dove è ancora.<br />

Dopo fece per la chiesa di San Francesco a Ripa una bellissima tavola a olio d’una Nunziata, che fu<br />

condotta con grandissima diligenza. Nell’andata di Carlo Quinto a Roma l’anno 1535 fece per<br />

Antonio da San Gallo alcune storie di chiaro scuro, che furono poste nell’arco che fu fatto a San<br />

Marco; le quali pitture, come s’è detto in altro luogo, furono le migliori che fussero in tutto<br />

quell’apparato. Volendo poi il signor Pierluigi Farnese, fatto allora signor di Nepi, adornare quella<br />

città di nuove muraglie e pitture, prese al suo servizio Francesco, dandogli le stanze in Belvedere,<br />

dove gli fece in tele grandi alcune storie a guazzo de’ fatti d’Alessandro Magno, che furono poi in<br />

Fiandra messe in opera di panni d’arazzo. Fece al medesimo signor di Nepi una grande e bellissima<br />

stufa con molte storie e figure lavorate in fresco. Dopo, essendo il medesimo fatto duca di Castro,<br />

nel fare la prima entrata fu fatto con ordine di Francesco un bellissimo e ricco apparato in quella<br />

città, et un arco alla porta tutto pieno di storie e di figure e statue fatte con molto giudizio da<br />

valentuomini, et in particolare da Alessandro detto Scherano, scultore da Settignano. Un altro arco a<br />

uso di facciata fu fatto al Petrone, et un altro alla piazza, che quanto al legname furono condotti da<br />

Batista Botticegli; et oltre all’altre cose, fece in questo apparato Francesco una bella scena e<br />

prospettiva per una comedia che si recitò.<br />

Avendo ne’ medesimi tempi Giulio Camillo, che allora si trovava in Roma, fatto un libro di sue<br />

composizioni per mandarlo al re Francesco di Francia, lo fece tutto storiare a Francesco Salviati,<br />

che vi mise quanta più diligenza è possibile mettere in simile opera. Il cardinal Salviati, avendo<br />

disiderio avere un quadro di legni tinti, cioè di tarsia, di mano di fra’ Damiano da Bergamo,<br />

converso di S. Domenico di Bologna, gli mandò un disegno come volea che lo facesse, di mano di<br />

Francesco, fatto di lapis rosso; il quale disegno, che rappresentò il re Davit unto da Samuello, fu la<br />

miglior cosa e veramente rarissima che mai disegnasse Cecchino Salviati. Dopo, Giovanni da<br />

Cepperello e Battista gobbo da San Gallo, avendo fatto dipignere a Iacopo del Conte fiorentino,

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