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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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compiutamente fornito che io nel principio della presente mia fatica promisi di fare. Per la qual<br />

cosa, Iddio primieramente et appresso i miei Signori ringraziando, che mi hanno onde io abbia ciò<br />

potuto fare comodamente conceduto, è da dare alla penna et alla mente faticata riposo: il che farò<br />

tosto che arò detto alcune cose brievemente. Se adunque paresse ad alcuno che talvolta in scrivendo<br />

fussi stato anzi lunghetto et alquanto prolisso, l’avere io voluto, più che mi sia stato possibile, essere<br />

chiaro, e davanti altrui mettere le cose in guisa che quello che non s’è inteso, o io non ho saputo dire<br />

così alla prima, sia per ogni modo ma[<strong>II</strong>. 1011]nifesto. E se quello che una volta si è detto è talora<br />

stato in altro luogo replicato, di ciò due sono state le cagioni: l’avere così richiesto la materia di cui<br />

si tratta, e l’avere io, nel tempo che ho rifatta e si è l’opera ristampata, interrotto più d’una fiata per<br />

ispazio non dico di giorni, ma di mesi, lo scrivere, o per viaggi o per soprabondanti fatiche, opere di<br />

pitture, disegni e fabriche: sanzaché a un par mio (il confesso liberamente) è quasi impossibile<br />

guardarsi da tutti gl’errori.<br />

A coloro ai quali paresse che io avessi alcuni, o vecchi o moderni, troppo lodato, e che, facendo<br />

comparazione da essi vecchi a quelli di questa età, se ne ridessero, non so che altro mi rispondere,<br />

se non che intendo avere sempre lodato non semplicemente, ma, come s’usa dire, secondo che, et<br />

avuto rispetto ai luoghi, tempi et altre somiglianti circostanze. E nel vero, comeché Giotto fusse,<br />

poniam caso, ne’ suoi tempi lodatissimo, non so quello che di lui e d’altri antichi si fusse detto, s’e’<br />

fussi stato al tempo del Buonarruoto: oltre che gl’uomini di questo secolo, il quale è nel colmo della<br />

perfezzione, non sarebbono nel grado che sono, se quelli non fussero prima stati tali e quel che<br />

furono innanzi a noi. Et insomma credasi che quello che ho fatto in lodare o biasimare, non l’ho<br />

fatto malagevolmente, ma solo per dire il vero, o quello che ho creduto che vero sia. Ma non si può<br />

sempre aver in mano la bilancia dell’orefice: e chi ha provato che cosa è lo scrivere, e<br />

massimamente dove si hanno a fare comparazioni, che sono di loro natura odiose, o dar giudizio, mi<br />

averà per iscusato. E ben so io quante sieno le fatiche, i disagi e i danari che ho speso in molti anni<br />

dietro a quest’opera. E sono state tali e tante le difficultà che ci ho trovate, che più volte me ne sarei<br />

giù tolto per disperazione, se il soccorso di molti buoni e veri amici, ai quali sarò sempre<br />

obbligatissimo, non mi avessero fatto buon animo e confortatomi a seguitare, con tutti<br />

quegl’amorevoli aiuti che per loro si sono potuti di notizie e d’avisi e riscontri di varie cose, delle<br />

quali, comeché vedute l’avessi, io stava assai perplesso e dubbioso. I quali aiuti sono veramente<br />

stati sì fatti, che io ho potuto puramente scoprire il vero e dare in luce quest’opera, per ravvivare la<br />

memoria di tanti rari e pellegrini ingegni, quasi del tutto sepolta, e a benefizio di que’ che dopo noi<br />

verranno. Nel che fare mi sono stati, come altrove si è detto, di non piccolo aiuto gli scritti di<br />

Lorenzo Ghiberti, di Domenico Grillandai e di Raffaello da Urbino; ai quali, se bene ho prestato<br />

fede, ho nondimeno sempre voluto riscontrare il lor dire con la veduta dell’opere: essendo che<br />

insegna la lunga pratica i solleciti dipintori a conoscere, come sapete, non altramente le varie<br />

maniere degl’artefici che si faccia un dotto e pratico cancelliere i diversi e variati scritti de’ suoi<br />

eguali, e ciascuno i caratteri de’ suoi più stretti famigliari amici e congiunti. Ora, se io averò<br />

conseguito il fine che io ho desiderato, che è stato di giovare et insiememente dilettare, mi sarà<br />

sommamente grato; e quando sia altrimenti, mi sarà di contento, o almeno alleggiamento di noia,<br />

aver durato fatica in cosa onorevole e che dee farmi degno appo i virtuosi di pietà, nonché perdono.<br />

Ma per venire al fine oggimai di sì lungo ragionamento, io ho scritto come pittore, e con<br />

quell’ordine e modo che ho saputo migliore; e quanto alla lingua, in quella ch’io parlo, o fiorentina<br />

o toscana ch’ella sia, et in quel modo che ho saputo più faci [<strong>II</strong>. 1012]le et agevole, lasciando<br />

gl’ornati e lunghi periodi, la scelta delle voci e gli altri ornamenti del parlare e scrivere dottamente a<br />

chi non ha, come ho io, più le mani ai pennelli che alla penna, e più il capo ai disegni che allo<br />

scrivere. E se ho seminati per l’opera molti vocaboli proprii delle nostre arti, dei quali non occorse<br />

per aventura servirsi ai più chiari e maggiori lumi della lingua nostra, ciò ho fatto per non poter far<br />

di manco, e per essere inteso da voi Artefici, per i quali, come ho detto, mi sono messo<br />

principalmente a questa fatica. Nel rimanente, avendo fatto quello che ho saputo, accettatelo<br />

volentieri, e da me non vogliate quel ch’io non so e non posso, appagandovi del buono animo mio,<br />

che è e sarà sempre di giovare e piacere altrui.

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