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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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se ne ricordava. Fu dato dal duca Cosimo ordine al Vasari che scrivesse a Michelagnolo che gli<br />

mandassi a dire che fine avesse a avere questa scala, ché forse, per l’amicizia et amore che gli<br />

portava, doverebbe dire qualcosa che sarebbe cagione che, venendo tal risoluzione, ella si finirebbe.<br />

Scrisse il Vasari a Michelagnolo l’animo del Duca e che tutto quel che si aveva a condurre<br />

toc[c]herebbe a lui a esserne lo essecutore: il che farebbe con quella fede che sapeva che e’ soleva<br />

aver cura delle cose sue. Per il che mandò Michelagnolo l’ordine di far detta scala in una lettera di<br />

sua mano, addì 28 di settembre 1555:<br />

Messer Giorgio, amico caro. Circa la scala della Libreria, di che m’è stato tanto parlato, crediate che, se<br />

io mi potessi ricordare come io l’avevo ordinata, che io non mi farei pregare. Mi torna bene nella mente<br />

come un sogno una certa scala, ma non credo che sia appunto quella che io pensai allora, perché mi<br />

torna cosa goffa; pure la scriverò qui: cioè che i’ togliessi una quantità di scatole aovate, di fondo d’un<br />

palmo l’una, ma non d’una lunghezza e larghezza; e la maggiore e prima ponessi in sul pavimento,<br />

lontana dal muro della porta tanto quanto volete che la scala sia dolce o cruda; e un’altra ne mettessi<br />

sopra questa, che fussi tanto minore per ogni verso, che in sulla prima di sotto avanzassi tanto piano<br />

quanto vuole il piè per salire, diminuendole e ritirandole verso la porta fra l’una e l’altra, sempre per<br />

salire; e che la diminuzione dell’ultimo grado sia quant’è ‘l vano della porta; e detta parte di scala<br />

aovata abbi come dua ale, una di qua et una di là, che vi seguitino i medesimi gradi e non aovati. Di<br />

queste serva il mezzo per il signore; dal mezzo in su di detta scala le rivolte di dette alie ritornino al<br />

muro, dal mezzo in giù insino in sul pavimento si discostino con tutta la scala dal muro circa tre palmi,<br />

in modo che l’imbasamento del ricetto non sia occupato in luogo nessuno e resti libera ogni faccia. Io<br />

scrivo cosa da ridere, ma so ben che voi troverrete cosa al proposito.<br />

[<strong>II</strong>. 760] Scrisse ancora Michelagnolo in que’ dì al Vasari che, essendo morto Giulio Terzo e creato<br />

Marcello, la setta gli era contro, per la nuova creazione di quel Pontefice cominciò di nuovo a<br />

travagliarlo; per il che, sentendo ciò il Duca e dispiacendogli questi modi, fece scrivere a Giorgio e<br />

dirli che doveva partirsi di Roma e venirsene a stare a Fiorenza, dove quel Duca non desiderava<br />

altro se non talvolta consigliarsi per le sue fabriche secondo i suoi disegni, e che arebbe da quel<br />

Signore tutto quello che e’ desiderava, senza far niente di sua mano. E di nuovo gli fu per messer<br />

Lionardo Marinozzi, cameriere segreto del duca Cosimo, portate lettere scritte da Sua Eccellenza e<br />

così dal Vasari. Dove essendo morto Marcello e creato Paulo Quarto, dal quale di nuovo gli era<br />

stato, in quel principio che e’ gli andò a baciare il piede, fatte offerte assai, in desiderio della fine<br />

della fabbrica di San Pietro, e l’obligo che gli pareva avervi lo tenne fermo; e pigliando certe scuse<br />

scrisse al Duca che non poteva per allora servirlo, et una lettera al Vasari, con queste parole proprie:<br />

Messer Giorgio, amico caro. Io chiamo Iddio in testimonio come io fu’ contra mia voglia con<br />

grandissima forza messo da papa Paulo Terzo nella fabbrica di San Pietro di Roma dieci anni sono; e se<br />

si fussi seguitato fino a oggi di lavorare in detta fabbrica, come si faceva allora, io sarei ora a quello di<br />

detta fabbrica, ch’io desidererei tornarmi costà; ma per mancamento di danari la s’è molto allentata, e<br />

allentasi quando l’è giunta in più faticose e dificil’ parti, in modo che, abandonandola ora, non sarebbe<br />

altro che, con grandissima vergogna e peccato, perdere il premio delle fatiche che io ho durate in detti X<br />

anni per l’amor de Dio. Io vi ho fatto questo discorso per risposta della vostra e perché ho una lettera del<br />

Duca m’ha fatto molto maravigliare che Sua Signoria si sia degnata a scrivere con tanta dolcezza. Ne<br />

ringrazio Iddio e S. E. quanto so e posso. Io esco di proposito, perché ho perduto la memoria e ‘l<br />

cervello, e lo scrivere m’è di grande affanno, perché non è mia arte. La conclusione è questa, di farvi<br />

intendere quel che segue dello abandonare la sopradetta fabbrica e partirsi di qua: la prima cosa<br />

contenterei parecchi ladri, e sarei cagione della sua rovina e forse ancora del serrarsi per sempre...<br />

Seguitando di scrivere Michelagnolo a Giorgio, gli disse, per escusazione sua col Duca, che avendo<br />

casa e molte cose a comodo suo in Roma, che valevano migliaia di scudi, oltra a l’essere indisposto<br />

della vita per renella, fianco e pietra, come hanno tutti e’ vecchi e come ne poteva far fede maestro<br />

Eraldo suo medico, del quale si lodava dopo Dio avere la vita da lui; per che, per queste cagioni non<br />

poteva partirsi, e che finalmente non gli bastava l’animo se non di morire. Raccomandavasi al

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