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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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fuoco né i tarli potessero lor nuocere. Onde cominciò a fare in queste pietre molte pitture,<br />

ricignendole con ornamenti d’altre pietre mischie, che, fatte lustranti, facevano accompagnatura<br />

bellissima. Ben è vero che, finite, non si potevano né le pitture né l’ornamento, per lo troppo peso,<br />

né muovere né trasportare se non con grandissima difficultà. Molti dunque, tirati dalla novità della<br />

cosa e dalla vaghezza dell’arte, gli davano arre di danari perché lavorasse per loro; ma egli, che più<br />

si dilettava di ragionarne che di farle, mandava tutte le cose per la lunga. Fece nondimeno un Cristo<br />

morto e la Nostra Donna in una pietra per don Ferrante Gonzaga, il quale lo mandò in Ispagna con<br />

un ornamento di pietra, che tutto fu tenuto opera molto bella, et a Sebastiano fu pagata quella pittura<br />

cinquecento scudi da messer Niccolò da Cortona, agente in Roma del cardinale di Mantova. Ma in<br />

questo fu Bastiano veramente da lodare, perciò che dove Domenico suo compatriota, il quale fu il<br />

primo che colorisse a olio in muro, e dopo lui Andrea dal Castagno, Antonio e Piero del Pollaiuolo<br />

non seppero trovar modo che le loro figure a questo modo fatte non diventassino nere né<br />

invecchiassero così presto, lo seppe trovar Bastiano; onde il Cristo alla colonna, che fece in San<br />

Piero a Montorio, infino ad ora non ha mai mosso, et ha la medesima vivezza e colore che il primo<br />

giorno. Perché usava costui questa così fatta diligenza, che faceva l’arricciato grosso della calcina<br />

con mistura di mastice e pece greca, e quelle insieme fondute al fuoco e date nelle mura, faceva poi<br />

spianare con una mescola da calcina, fatta rossa overo rovente al fuoco; onde hanno potuto le sue<br />

cose reggere all’umido e conservare benissimo il colore senza farli far mutazione. E con la<br />

medesima mestura ha lavorato sopra le pietre di peperigni, di marmi, di mischî, di porfidi e lastre<br />

durissime, nelle quali possono lunghissimo tempo durare le pitture; oltre che ciò, [<strong>II</strong>. 346] ha<br />

mostrato come si possa dipignere sopra l’argento, rame, stagno e altri metalli. Quest’uomo aveva<br />

tanto piacere in stare ghiribizzando e ragionare, che si tratteneva i giorni interi per non lavorare; e<br />

quando pur vi si riduceva, si vedea che pativa dell’animo infinitamente: da che veniva in gran parte<br />

che egli aveva openione che le cose sue non si potessino con verun prezzo pagare. Fece per il<br />

cardinale d’Aragona, in un quadro, una bellissima S. Agata ignuda e martiriz[z]ata nelle poppe, che<br />

fu cosa rara; il qual quadro è oggi nella guardaroba del signor Guidobaldo duca d’Urbino, e non è<br />

punto inferiore a molti altri quadri bellissimi che vi sono di mano di Raffaello da Urbino, di Tiziano<br />

e d’altri. Ritrasse anche di naturale il signor Piero Gonzaga in una pietra, colorito a olio, che fu un<br />

bellissimo ritratto, ma penò tre anni a finirlo.<br />

Ora, essendo in Firenze, al tempo di papa Clemente, Michelagnolo, il quale attendeva all’opera<br />

della nuova Sagrestia di San Lorenzo, voleva Giuliano Bugiardini fare a Baccio Valori in un quadro<br />

la testa di papa Clemente et esso Baccio; et in un altro, per messer Ottaviano de’ Medici, il<br />

medesimo Papa e l’arcivescovo di Capua; per che Michelagnolo, mandando a chiedere a fra’<br />

Sebastiano che di sua mano gli mandasse da Roma dipinta a olio la testa del Papa, egli ne fece una e<br />

gliela mandò, che riuscì bellissima. Della quale, poi che si fu servito Giuliano e che ebbe i suoi<br />

quadri finiti, Michelagnolo, che era compare di detto messer Ottaviano, gliene fece un presente. E<br />

certo, di quante ne fece fra’ Sebastiano, che furono molte, questa è la più bella testa di tutte e la più<br />

simigliante, come si può vedere in casa gli eredi del detto messer Ottaviano. Ritrasse il medesimo<br />

papa Paolo Farnese, sùbito che fu fatto sommo Pontefice; e cominciò il duca di Castro suo figliuolo,<br />

ma non lo finì, come non fece anche molte altre cose, alle quali avea dato principio. Aveva fra’<br />

Sebastiano vicino al Popolo una assai buona casa, la quale egli si avea murata, et in quella con<br />

grandissima contentezza si vivea senza più curarsi di dipignere o lavorare, usando spesso dire che è<br />

una grandissima fatica avere nella vecchiezza a raffrenare i furori a’ quali nella giovanezza gli<br />

artefici per utilità, per onore e per gara si sogliono mettere; e che non era men prudenza cercare di<br />

viver quieto, che vivere con le fatiche inquieto per lasciare di sé nome dopo la morte, dopo la quale<br />

hanno anco quelle fatiche e l’opere tutte ad avere, quando che sia, fine e morte; e come egli queste<br />

cose diceva, così a suo potere le metteva in essecuzione, perciò che i migliori vini e le più preziose<br />

cose che avere si potessero cercò sempre d’avere per lo vitto suo, tenendo più conto della vita che<br />

dell’arte. E perché era amicissimo di tutti gli uomini virtuosi, spesso avea seco a cena il Molza e<br />

messer Gandolfo, facendo bonissima cera. Fu ancora suo grandissimo amico messer Francesco<br />

Berni fiorentino, che gli scrisse un capitolo, al quale rispose fra’ Sebastiano con un altro assai bello,

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