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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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Avvengaché uno de’ giovani che imparava con Domenico, avendo ritratto alcune femine di penna,<br />

vestite, dalle cose del Grillandaio, Michelagnolo prese quella carta e con penna più grossa<br />

ridintornò una di quelle femmine di nuovi lineamenti, nella maniera che arebbe avuto a stare perché<br />

[<strong>II</strong>. 718] istessi perfettamente: che è cosa mirabile a vedere la diferenza delle due maniere, e la<br />

bontà e giudizio d’un giovanetto così animoso e fiero che gli bastasse l’animo correggere le cose del<br />

suo maestro. Questa carta è oggi appresso di me, tenuta per reliquia, che l’ebbi dal Granaccio per<br />

porla nel Libro de’ disegni con altri di suo, avuti da Michelagnolo; e l’anno 1550, che era a Roma,<br />

Giorgio la mostrò a Michelagnolo, che la riconobbe et ebbe caro rivederla, dicendo per modestia<br />

che sapeva di questa arte più quando egl’ era fanciullo che allora che era vecchio.<br />

Ora avvenne che, lavorando Domenico la cappella grande di Santa Maria Novella, un giorno che<br />

egli era fuori, si misse Michelagnolo a ritrarre di naturale il ponte con alcuni deschi, con tutte le<br />

masserizie dell’arte e alcuni di que’ giovani che lavoravano. Per il che tornato Domenico e visto il<br />

disegno di Michelagnolo, disse: “Costui ne sa più di me”; e rimase sbigottito della nuova maniera e<br />

della nuova imitazione che, dal giudizio datogli dal cielo, aveva un simil giovane in età così tenera,<br />

che in vero era tanto quanto più desiderar si potesse nella pratica d’uno artefice che avesse operato<br />

molti anni. E ciò era che tutto il sapere e potere della grazia era nella natura essercitata dallo studio<br />

e dall’arte; per che in Michelagnolo faceva ogni dì frutti più divini [che umani], come apertamente<br />

cominciò a dimostrarsi nel ritratto che e’ fece d’una carta di Martino Tedesco stampata, che gli<br />

dette nome grandissimo. Imperò che, essendo venuta allora in Firenze una storia del detto Martino,<br />

quando i Diavoli battano Santo Antonio, stampata in rame, Michelagnolo la ritrasse di penna, di<br />

maniera che non era conosciuta, e quella medesima con i colori dipinse: dove, per contrafare alcune<br />

strane forme di Diavoli, andava a comperare pesci che avevano scaglie bizzarre di colori; e quivi<br />

dimostrò in questa cosa tanto valore che e’ ne acquistò e credito e nome. Contrafece ancora carte di<br />

mano di varii maestri vecchi, tanto simili che non si conoscevano, perché, tignendole et<br />

invecchiandole col fummo e con varie cose, in modo le insudiciava che elle parevano vecchie, e<br />

paragonatole con la propria, non si conosceva l’una dall’altra; né lo faceva per altro, se non per<br />

avere le proprie di mano di coloro, col darli le ritratte, che egli per l’ecc[ellenza] dell’arte amirava e<br />

cercava di passargli nel fare: onde n’acquistò grandissimo nome.<br />

Teneva in quel tempo il Magnifico Lorenzo de’ Medici nel suo giardino in sulla piazza di S. Marco<br />

Bertoldo scultore, non tanto per custode o guardiano di molte belle anticaglie che in quello aveva<br />

ragunate e raccolte con grande spesa, quanto perché, desiderando egli sommamente di creare una<br />

scuola di pittori e di scultori ecc[ellenti], voleva che elli avessero per guida e per capo il sopradetto<br />

Bertoldo, che era discepolo di Donato; et ancora che e’ fusse sì vecchio che non potesse più<br />

operare, era nientedimanco maestro molto pratico e molto reputato, non solo per avere<br />

diligentissimamente rinettato il getto de’ pergami di Donato suo maestro, ma per molti getti ancora<br />

che egli aveva fatti, di bronzo, di battaglie e di alcune altre cose piccole, nel magisterio delle quali<br />

non si trovava allora in Firenze chi lo avanzasse. Dolendosi adunque Lorenzo, che amor<br />

grandissimo portava alla pittura et alla scultura, che ne’ suoi tempi non si trovassero scultori<br />

celebrati e nobili, come si trovavano molti pittori di grandissimo pregio e fama, deliberò, come io<br />

dissi, di fare una scuola; e per questo chiese a Domenico Ghirlandai che, se in bottega sua avesse<br />

de’ suoi giovani che inclinati fussero a ciò, l’inviasse al giardino, dove egli desiderava di<br />

essercitargli e creargli in una [<strong>II</strong>. 719] maniera che onorasse sé e lui e la città sua. Laonde da<br />

Domenico gli furono per ottimi giovani dati, fra gli altri, Michelagnolo e Francesco Granaccio. Per<br />

il che andando eglino al giardino, vi trovarono che il Torrigiano, giovane de’ Torrigiani, lavorava di<br />

terra certe figure tonde che da Bertoldo gli erano state date. Michelagnolo, vedendo questo, per<br />

emulazione alcune ne fece; dove Lorenzo, vedendo sì bello spirito, lo tenne sempre in molta<br />

aspettazione; et egli, inanimito, dopo alcuni giorni si misse a contrafare con un pezzo di marmo una<br />

testa che v’era d’un Fauno vecchio, antico e grinzo, che era guasta nel naso e nella bocca rideva.<br />

Dove a Michelagnolo, che non aveva mai più tócco marmo né scarpegli, successe il contrafarla così<br />

bene, che il Magnifico ne stupì; e visto che, fuor della antica testa, di suo fantasia gli aveva<br />

trapanato la bocca e fattogli la lingua e vedere tutti i denti, burlando quel signore con piacevolezza,

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