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[II. 1] VITA DI LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino ...

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ispose che tutto era nulla, perché, se la vita ci piace, essendo anco la morte di mano d’un medesimo<br />

Maestro, quella non ci doverebbe dispiacere. A un cittadino che lo trovò da Orsanmichele in<br />

Fiorenza, che s’era fermato a riguardare la statua del San Marco di Donato e lo domandò quel che<br />

di quella figura gli paresse, Michelagnolo rispose che non vedde mai figura che avessi più aria di<br />

uomo da bene di quella, e che, se San Marco era tale, se gli poteva credere ciò che aveva scritto.<br />

Essendogli mostro un disegno e raccomandato un fanciullo che allora imparava a disegnare,<br />

scusandolo alcuni che era poco tempo che s’era posto all’arte, rispose: “E’ si conosce”. Un simil<br />

motto disse a un pittore che aveva dipinto una Pietà e non s’era portato bene, che ell’era proprio una<br />

pietà a vederla. Inteso che Sebastiano Viniziano aveva a fare nella cappella di San Piero a Montorio<br />

un frate, disse che gli guasterebbe quella opera; domandato della cagione, rispose che, avendo<br />

eglino guasto il mondo, che è sì grande, non sarebbe gran fatto che gli guastassino una cappella sì<br />

piccola. Aveva fatto un pittore una opera con grandissima fatica e penatovi molto tempo, e nello<br />

scoprirla aveva acquistato assai; fu dimandato Michelagnolo che gli pareva del facitore di quella;<br />

rispose: “Mentre che costui vorrà esser ricco, sarà [<strong>II</strong>. 779] del continuo povero”. Uno amico suo,<br />

che già diceva messa et era religioso, capitò a Roma tutto pieno di puntali e di drappo, e salutò<br />

Michelagnolo, et egli si finse di non vederlo; per che fu l’amico forzato fargli pelese il suo nome;<br />

mostrò di maravigliarsi Michelagnolo che fussi in quell’abito; poi soggiunse, quasi rallegrandosi:<br />

“Oh, voi siete bello! Se fossi così drento come io vi veggio di fuori, buon per l’anima vostra”. Al<br />

medesimo che aveva raccomandato uno amico suo a Michelagnolo, che gli aveva fatto fare una<br />

statua, pregandolo che gli facessi dare qualcosa più: il che amorevolmente fece; ma l’invidia dello<br />

amico che richiese Michelagnolo credendo che non lo dovesse fare, veggendo pur che l’aveva fatto,<br />

fece che se ne dolse: e tal cosa fu detta a Michelagnolo; onde rispose che gli dispiacevano gli<br />

uomini fognati, stando nella metafora della architettura, intendendo che con quegli che hanno due<br />

bocche mal si può praticare. Domandato da uno amico suo quel che gli paresse d’uno che aveva<br />

contrafatto di marmo figure antiche delle più celebrate, vantandosi lo immitatore che di gran lunga<br />

aveva superato gli antichi, rispose: “Chi va dietro a altri, mai non li passa innanzi; e chi non sa far<br />

bene da sé, non può servirsi bene delle cose d’altri”. Aveva non so che pittore [fatto] un’opera, dove<br />

era un bue che stava meglio delle altre cose; fu dimandato perché il pittore aveva fatto più vivo<br />

quello che l’altre cose; disse: “Ogni pittore ritrae sé medesimo bene”. Passando da San Giovanni di<br />

Fiorenza, gli fu dimandato il suo parere di quelle porte; egli rispose: “Elle sono tanto belle che le<br />

starebbon bene alle porte del Paradiso”. Serviva un principe, che ogni dì variava disegni né stava<br />

fermo; disse Michelagnolo a uno amico suo: “Questo signore ha un cervello come una bandiera di<br />

campanile, che ogni vento che vi dà drento la fa girare”. Andò a vedere una opera di scultura che<br />

doveva mettersi fuora perché era finita, e si affaticava lo scultore assai in acconciare i lumi delle<br />

finestre, perch’ella mostrassi bene; dove Michelagnolo gli disse: “Non ti affaticare, ché<br />

l’importanza sarà il lume della piazza”, volendo inferire che, come le cose sono in publico, il<br />

populo fa giudizio s’elle sono buone o cattive. Era un gran principe che aveva capriccio in Roma<br />

d’architetto et aveva fatto fare certe nicchie per mettervi figure, che erano l’una 3 quadri alte, con<br />

uno anello in cima, e vi provò a mettere dentro statue diverse che non vi tornavano bene. Dimandò<br />

Michelagnolo quel che vi potessi mettere; rispose: “De’ mazzi d’anguille appiccate a quello anello”.<br />

Fu assunto al governo della fabrica di San Piero un signore che faceva professione d’intendere<br />

Vitruvio e d’essere censore delle cose fatte. Fu detto a Michelagnolo: “Voi avete avuto uno alla<br />

fabbrica, che ha un grande ingegno”; rispose Michelagnolo: “Gli è vero, ma gli ha cattivo giudizio”.<br />

Aveva un pittore fatto una storia et aveva cavato di diversi luoghi, di carte e di pitture, molte cose,<br />

né era in su quella opera niente che non fussi cavato; e fu mostro a Michelagnolo, che, veduta, gli fu<br />

dimandato da un suo amicissimo quel che gli pareva; rispose: “Bene ha fatto, ma io non so al dì del<br />

giudizio, che tutti i corpi piglieranno le lor membra, come farà quella storia, che non ci rimarrà<br />

niente”: avvertimento a coloro che fanno l’arte, che s’avezzino a fare da sé. Passando da Modena,<br />

vedde di mano di maestro Antonio Bigarino modanese, scultore, che aveva fatto molte figure belle<br />

di terra cotta e colorite di colore di marmo, le quali gli parsono una eccellente cosa; e perché quello<br />

scultore non [<strong>II</strong>. 780] sapeva lavorare il marmo, disse: “Se questa terra diventassi marmo, guai alle

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