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irriconoscibile nell‟aspetto, e ritenuta ormai marchiata dal disonore<br />
causato dal contatto con l‟indiano, viene vista dagli abitanti del suo<br />
villaggio come un corpo estraneo, segnata a dito per la sua storia<br />
sventurata. Il marito, dal canto suo, finge di non riconoscerla,<br />
asserendo che la moglie è morta nel deserto, dove l‟ha cercata a lungo<br />
e invano.<br />
La donna tornata dal mondo indiano è dunque un‟estranea. Non<br />
può che essere morta durante l‟attacco alla carovana. Sprofondata<br />
nell‟isolamento, Marta si ritirerà nel cuore della foresta, dove<br />
diventerà pazza e si trasformerà in un kakué, uccello dal grido<br />
stridente in cui, secondo la leggenda del luogo, si incarna chi ha<br />
conosciuto troppo dolore. L‟interdetto è sempre quello: nessun<br />
contatto carnale tra l‟indiano e la donna bianca. La storia di Marta<br />
Riquelme si configura in tal senso come emblematica, esemplare.<br />
L‟ombra lunga della promiscuità con il selvaggio avvolge il suo corpo<br />
e lo contamina, rendendo impossibile il reinserimento nella comunità<br />
bianca. “La condotta del marito, che la respinge fingendo di non<br />
riconoscerla, è quella che avrebbe seguito Brian se María [l‟eroina del<br />
poema di Echeverría] non si fosse difesa a colpi di pugnale dal<br />
cacicco” 220 . Vi è uno stampo ideologico comune fra i testi di<br />
Echeverría e di Hudson, per cui la donna bianca deve mantenersi pura<br />
in quanto non coinvolta in alcuna promiscuità sessuale con l‟altra<br />
razza. Altrimenti vi è la perdita del ruolo sociale e della protezione da<br />
parte della comunità. Anche se la donna è stata vittima di una<br />
violenza, anche se il suo cautiverio non si configura come una scelta<br />
di vita. Sembra che il rimprovero implicito, nel caso di Marta<br />
Riquelme, sia quello di essere ritornata viva dal mondo dei barbari, di<br />
220 Ivi, 77.<br />
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