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L'analisi - Enea

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In realtà i livelli di costi realmente interessanti sono quelli della parte bassa della curva, in<br />

quanto – sempre in base al modello IPAC basato su tre differenti scenari con alcune ipotesi<br />

comuni al contorno 35 – la dimensione complessiva del mercato dei CERs nel 2010<br />

ammonterebbe a circa 164 milioni di tonnellate di CO2, il massimo potenziale teorico<br />

raggiungibile dai progetti CDM in Cina non supererebbe i 210 milioni di tonnellate di<br />

abbattimenti, mentre le riduzioni effettive nel mercato CDM oscillerebbe tra 24,9 e 111,6<br />

milioni di tonnellate CO2 con un prezzo variabile tra 5,2 e 6,5 $/t CO2 (secondo lo scenario); in<br />

ogni caso la Cina soddisferebbe circa la metà della domanda complessiva di CERs, stimata tra<br />

52 e 240 Mt CO2.<br />

Data pertanto la fortissima incidenza potenziale della Cina nella localizzazione di progetti CDM<br />

e quindi in termini di quantità di diritti (CERs ) teoricamente in grado di scaturirne, si pone a<br />

livello macroeconomico il problema di un continuo monitoraggio dei prezzi sul mercato per<br />

evitare che un eventuale eccesso di offerta di diritti generata dai progetti non rischi di<br />

deprimere i prezzi inibendo così per i periodi successivi gli incentivi degli investitori esteri. È<br />

necessario, in altri termini, che la convenienza degli investimenti finalizzati all’acquisizione di<br />

CER si mantenga stabile nel tempo, fattore essenziale per consentire al decisore politico di<br />

poter integrare a pieno titolo il meccanismo del CDM nei piani di sviluppo a lungo termine: a<br />

sua volta ciò presuppone una politica di calmieramento dei progetti in termini di dimensioni e<br />

distribuzione temporale. Si intersecano dunque fattori riconducibili al “controllo” del decisore<br />

politico cinese (gestione dei progetti, elementi che influiscono sui costi di transazione e così<br />

via) e altri che invece non sono controllabili, in primo luogo i prezzi sul mercato. In realtà il<br />

controllo del governo cinese sui prezzi dei CDM si è di recente esercitato in maniera talmente<br />

ferrea, con l’imposizione di fatto di un livello minimo di prezzo agli acquirenti stranieri e di<br />

quote massime del 50% nella partecipazione ai progetti. Evidentemente i CER sono considerati<br />

a giusto titolo come una risorsa nazionale, da non svendere, ma tale atteggiamento rischia di<br />

scoraggiare gli investimenti stranieri in questo tipo di progetti.<br />

L’andamento storico dei prezzi sui mercati dei diritti ha finora registrato uno sconto pressoché<br />

strutturale dei CER rispetto agli ETS (diritti scambiati nell’ambito dell’ET) a causa di alcuni<br />

elementi di rischio peculiari attribuiti in genere agli investimenti effettuati nei paesi emergenti<br />

e nei PVS, in particolare quelli legati alla certezza degli iter autorizzativi, alla consegna dei<br />

certificati da Parte del Paese ospitante, ai possibili cambiamenti dei target e degli schemi del<br />

Protocollo, e – appunto- alla volatilità di breve e lungo termine dei prezzi dei permessi. A ciò si<br />

aggiungono gli eccessivi ritardi nell’approvazione delle metodologie per il calcolo delle baseline<br />

da parte del Comitato Esecutivo 36 , la difficoltà di accertamento del carattere addizionale di<br />

progetti, e gli elevati costi di transazione, che alcuni studi condotti su progetti-pilota hanno<br />

quantificato nell’ordine degli 80 cent$/t di riduzioni.<br />

Un’ultima considerazione rispetto al mercato dei CDM e dei CERU è d’obbligo: questo mercato<br />

potrà svilupparsi e produrre in suoi effetti benefici trasformandosi anche in un trasferimento di<br />

risorse ai paesi in via di sviluppo solamente se il Protocollo di Kyoto, alla sua scadenza del<br />

2012 avrà un successore, possibilmente più robusto. Gli investimenti, si sa, necessitano di<br />

qualche certezza su un orizzonte temporale sufficientemente lungo: in questo caso la certezza<br />

che ci saranno degli obblighi di riduzione delle emissioni da rispettare e delle industrie a corto<br />

di permessi di emissione. Diventa dunque vitale che se non prima, dal 2009 si riaprano<br />

negoziati concreti per una fase due del Protocollo di Kyoto e che paesi come gli Stati Uniti o<br />

l’Australia ne facciano parte. La partecipazione dei paesi emergenti agli oneri della riduzione<br />

delle emissioni a quel punto diventerebbe assai più verosimile.<br />

35<br />

In particolare: una partecipazione volontaria degli Stati Uniti al mercato globale delle emissioni pari al 10% dei<br />

volumi complessivi; un ruolo di price-maker tendenzialmente attribuibile ai paesi dell’Est (in particolare la Russia)<br />

grazie alle riserve di diritti disponibili per il fenomeno dell’hot-air; una percentuale massima del 50% di<br />

supplementarità attribuita ai progetti CDM per i paesi Annex I rispetto agli obiettivi di riduzione; costi di transazione<br />

quantificati in 0,54 $ /t CO2 .<br />

36<br />

Organo preposto alla gestione e al monitoraggio del CDM, istituito in occasione della Settima Conferenza delle Parti<br />

(COP 7).<br />

75

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