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"L'Eneide",

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la fuga, accolto il supplice sí degno,<br />

e in silenzio tagliar la fune: e curvi<br />

fendiamo il mar con gareggianti remi.<br />

Senti, l'andar verso la voce volse;<br />

ma poi che già non ne può dar di piglio<br />

né uguagliare inseguendoci l'Ionio,<br />

grido immenso levò, che le marine<br />

ne tremarono e addentro sbigottita<br />

fin la terra d'Italia e muggí l'Etna<br />

da le curve caverne. A quel richiamo<br />

fuor da le selve, giú da le montagne<br />

la razza de' Ciclopi si ruina<br />

verso il porto ed i lidi empie. Vediamo<br />

con l'occhio torvo inutilmente starsi<br />

gli etnei fratelli e alzar le teste al cielo,<br />

concilio orrendo; quali in vetta a l'alpe<br />

querci aerie o coniferi cipressi<br />

soglion superbi sorgere, di Giove<br />

alta selva o recinto di Diana.<br />

Precipitosi il gran timor ci spinge<br />

a scuotere le sarte per dovunque<br />

e dar le vele a lo spirar de' venti.<br />

D'Eleno l'ammonir contrario suona,<br />

se tra Scilla e Cariddi, entrambe via<br />

rasente a morte, non serbino il solco;<br />

vale il pensier di veleggiare indietro.<br />

Ed ecco da la stretta di Peloro<br />

Borea ne spira: valico la foce

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