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"L'Eneide",

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Traggono a sorte i luoghi e su le poppe<br />

splendono lunge in oro e in ostro i duci:<br />

tutti gli altri coronansi di pioppo,<br />

riluccicanti i nudi òmeri d'olio.<br />

Siedono a' banchi, con le braccia a' remi:<br />

fisi aspettano il segno, e gli agognanti<br />

cuori pervade un palpito d'affanno<br />

e de la gloria la ridesta smania.<br />

Poi come diè la chiara tromba il suono,<br />

proruppero ciascun dal suo confine<br />

immantinente: il nautico clamore<br />

giunge al ciel; spuman da' ritratti polsi<br />

attorte l'acque. Affondan solchi a prova,<br />

e tuttoquanto schiudesi da' remi<br />

rotto e da' rostri tridentati il mare.<br />

Non sí precipitosi entrano in campo<br />

i carri ne la gara de le bighe<br />

avventandosi fuori de' cancelli,<br />

e non cosí gli aurighi a le sfrenate<br />

coppie scoton le redini ondeggianti<br />

chinandosi protesi su la sferza.<br />

D'un fremito di plausi allor, del grido<br />

de' parteggianti tutto il bosco suona<br />

e per il chiuso lido erra la voce,<br />

l'eco rimbalza da' percossi colli.<br />

Sfugge su le prime onde avanti agli altri<br />

tra quella furia fremebonda Gía,<br />

e lui Cloanto séguita, di remi

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