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"L'Eneide",

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nel Lazio. Non piú degno funerale,<br />

Pallante, io ti farei che il pio Enea<br />

e i grandi Frigi e i duci Etruschi e tutto<br />

degli Etruschi l'esercito, i trofei<br />

di quei recando che tu metti a morte.<br />

Sorgeresti tu pur gran tronco in armi,<br />

se pari era l'età, pari con gli anni<br />

la forza, o Turno. Ma perché trattengo,<br />

misero, lungi da la pugna i Teucri?<br />

Andate e riferite al re fedeli:<br />

che questa vita io reggo, sí odïosa,<br />

morto Pallante, n'è cagion tua destra<br />

che al figlio e al padre, il vedi, è debitrice<br />

di Turno. A le tue lodi e a la fortuna<br />

manca ciò solo. Né già chiedo questa<br />

gioia per la mia vita (oh! non potrei),<br />

ma ch'io la rechi giú tra l'ombre al figlio".<br />

L'Aurora intanto a' miseri mortali<br />

l'opere riportando e le fatiche<br />

avea chiarito il ciel: già il padre Enea<br />

e già Tarcone per il curvo lido<br />

le pire costruirono. Ciascuno<br />

quivi i corpi de' suoi nel modo avito<br />

venne recando, e sotto accesi i fuochi,<br />

l'aere di caligine si vela.<br />

Tre volte intorno agli avvampanti roghi<br />

scorsero ne le fulgide armature,<br />

tre volte il mesto funerale incendio

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