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"L'Eneide",

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la prima Aurora fuor del croceo letto<br />

di Titon. La regina appena vide<br />

da le vedette imbiancar l'aria e a piene<br />

vele la flotta allontanar, né a riva<br />

né piú restarsi remigante in porto,<br />

tre volte e quattro il bel seno percosse<br />

e il biondo crin strappandosi "Deh Giove!<br />

se n'andrà dunque, grida, e preso a scherno<br />

il nostro regno avrà questo straniero?<br />

Non brandiranno l'armi ad inseguirlo<br />

da tutta la città? non strapperanno<br />

le navi agli arsenali? Oh qua le fiamme<br />

presto, gli strali qua! date ne' remi!....<br />

Che dico? e dove son? qual follia nova?<br />

Dido infelice, or te l'empiezza offende?<br />

Allor dovea, quando gli scettri offrivi.<br />

Oh qual braccio, qual cuor l'uom che si vanta<br />

portar seco i Penati de la patria<br />

e su le spalle il vecchio padre stanco!<br />

No 'l poteva io mettere in brani, e in mare<br />

gittarlo? e trucidar sua gente, il suo<br />

Ascanio stesso ed imbandirlo al padre?<br />

Ma dubbia de la lotta era la sorte:<br />

fosse; di chi temere io moritura?<br />

Portato avrei nel campo i tizzi, empiti<br />

di bragia i banchi, il figlio e il padre e il seme<br />

spento, e gittata sopra lor me stessa.<br />

Sole che tutte l'opere del mondo

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