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"L'Eneide",

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allentavano placidi le membra:<br />

quando lieve dagli astri eterei sceso<br />

il Sonno ruppe l'aër tenebroso<br />

e scosse l'ombre, verso te movendo,<br />

o Palinuro, e infauste visïoni<br />

a te non meritevole recando.<br />

Su l'alta poppa iddio sedé, col volto<br />

di Forbante, e cosí schiuse le labbra:<br />

"O Palinuro iàside, le navi<br />

da sé le porta il mar; son l'aure amiche:<br />

or si può riposare; adagia il capo<br />

e gli occhi stanchi togli a la fatica.<br />

Io per poco terrò le veci tue".<br />

E Palinuro a lui levando appena<br />

gli occhi dice: "E vuoi tu ch'io non conosca<br />

del cheto sale il volto e la bonaccia?<br />

ch'io creda a questo mostro? Enea, sí certo,<br />

gli affiderò, da' zefiri fallaci<br />

tante volte io deluso e da l'insidia<br />

del ciel sereno". Questo rispondendo,<br />

fermo e stretto il timon mai non lasciava<br />

con lo sguardo a le stelle. Ed ecco il dio<br />

un ramo intriso di letèa rugiada<br />

e soporoso per influsso stigio<br />

su le tempie gli scote e a l'esitante<br />

le natanti pupille allenta. Appena<br />

il sopor primo invase avea le membra,<br />

che premendo su lui, con parte svelta

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