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"L'Eneide",

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d'Auno de l'Apennino, non postremo<br />

de' Liguri, finché lasciava il fato<br />

luogo a ingannar. Costui, quando si vede<br />

non potere per corsa evitar l'urto<br />

né l'impeto stornar de la regina,<br />

pensa agli accorgimenti e con malizia<br />

principia a dir: "E' non è poi gran vanto!<br />

donna, ma confidata a un buon cavallo.<br />

Lascia la fuga; in terra piana e presso<br />

scendi con me, vieni al duello a piedi:<br />

saprai cui noccia la nomea ventosa".<br />

Disse: irritata e di dolor trafitta<br />

ella cede il cavallo a una compagna<br />

e gli si pianta in armi eguali a fronte,<br />

con non piú che la spada e la rotella.<br />

Ma quei, che si pensò vincer d'inganno,<br />

or esso fugge subito e di sprone<br />

piú sollecita il rapido galoppo.<br />

"Ligure vano e invano inorgoglito,<br />

inutilmente subdolo tentasti<br />

l'arti paterne: la fallacia tua<br />

non ti renderà salvo al fallace Auno".<br />

Cosí dice la vergine e sfavilla<br />

su' piedi via, passa il cavallo in corsa,<br />

afferra il fren, stringe l'assalto a fronte<br />

e fa vendetta del nemico sangue:<br />

non cosí pronto spiccasi sparviero,<br />

sacro uccel, da la rupe ad inseguire

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