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"L'Eneide",

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Se l'arce di Cartagine e la vista<br />

d'afra città sorride a te fenicia,<br />

ne l'ausonio terreno e perché vieti<br />

posare i Teucri? è lecito anche a noi<br />

cercar stranieri regni. Quante volte<br />

cinge la notte in velo umido il mondo,<br />

quante volte si accendono le stelle,<br />

m'avverte in sogno e m'atterrisce offesa<br />

l'ombra del padre, Anchise; e Ascanio mio<br />

e la iattura del diletto capo<br />

cui del regno fatal d'Esperia privo.<br />

Or anche il messaggero degli Dei<br />

invïato da Giove stesso, il giuro<br />

per le nostre due vite, m'ha recato<br />

rapido giú per l'aëre il comando:<br />

ben io lo vidi in chiara luce il dio<br />

entrar le mura e bevvi la sua voce<br />

con questi orecchi. Lascia di turbare<br />

me fieramente e te col tuo lamento:<br />

non spontaneo l'Italia cerco".<br />

Lui che cosí dicea guardava obliqua<br />

inquïete rotando le pupille<br />

e lo percorre con lo sguardo muto<br />

tuttoquanto, e cosí prorompe accesa:<br />

"Né tua madre una dea né de la stirpe<br />

Dardano è autore, o perfido: il selvaggio<br />

Caucaso ti creò da l'aspre rupi<br />

e ti dieder la poppa ircane tigri.

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