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"L'Eneide",

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e percosso ristà ne l'imo fondo:<br />

s'agitan l'acque e bruna si solleva<br />

la sabbia; al tonfo Procida alta trema<br />

e ne trema Ischia per voler di Giove<br />

imposta a Tifoèo duro giaciglio.<br />

Qui Marte armipotente animo e forza<br />

crebbe a' Latini e li toccò di sprone,<br />

mandò la Fuga e il reo Timor fra' Teucri.<br />

Concorron quelli, poi che il campo è dato<br />

e il dio pugnace move i cuori.<br />

Pandaro, a terra il suo fratel veduto<br />

e il volger de le cose e la vicenda,<br />

la porta a tutta forza risospinge<br />

puntando con le larghe spalle, e molti<br />

chiude fuori de' suoi tra la battaglia,<br />

ma seco altri rinserra e li rattiene<br />

precipitanti; folle, che non vide<br />

esso il rutulo Re tra la sua schiera<br />

prorompere, ma dentro lo rinchiuse,<br />

come tra imbelle armento atroce tigre.<br />

Nova una luce balenò dagli occhi<br />

e orribilmente gli sonaron l'armi:<br />

fremon le punte del cimier sanguigno<br />

ed è guizzi di folgori lo scudo.<br />

Ben riconoscon l'odïata faccia<br />

e il gran corpo gli Encadi d'un tratto<br />

sgomenti.<br />

Balza allor Pandaro enorme

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