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"L'Eneide",

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e la chiara sua gloria, cui per falso<br />

tradimento i Pelasgi e infame accusa,<br />

perché la guerra non volea, innocente<br />

trassero a morte, e spento il piangon ora;<br />

a lui compagno, e stretto anche di sangue,<br />

me il mio padre povero mandava<br />

a questa guerra su l'età mia prima.<br />

Mentr'ei saldo nel regno era e fioriva<br />

ne' consigli dei re, nome ed onore<br />

ebbi alcuno pur io. Ma poi che morto<br />

fu per livore de l'infinto Ulisse<br />

(cose sapute narro), in ombra mesta<br />

avvilito io traeva i dí, del caso<br />

fremendo in cuor de l'innocente amico.<br />

Stolto, e non tacqui! Se si offrisse luogo,<br />

se tornar mai potessi in patria ad Argo,<br />

giurai vendetta e al bieco odio m'esposi.<br />

Quindi il principio del mio male, e Ulisse<br />

sempre a incalzarmi di calunnie nove,<br />

a sparger contro me voci nel volgo<br />

ambigue e a preparar sagace l'armi.<br />

Né si risté, che ad opra di Calcante....<br />

Ma perché mai rinfresco io la spiacente<br />

storia? perché v'indugio? Se per voi<br />

son tutti eguali i Greci, e ciò v'è assai,<br />

or m'uccidete: l'Itaco il vorrebbe<br />

e caro prezzo ne darían gli Atridi -<br />

Di chiedere e saper cresce l'ardore,

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