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"L'Eneide",

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gli avventa un dardo e un altro ancora e un altro,<br />

e in larga ruota gli cavalca intorno<br />

saettando, ma saldo è l'aureo scudo.<br />

Tre volte quei cinse il nemico in cerchi<br />

verso manca e traea dardi; tre volte<br />

il teucro eroe girò con sé la densa<br />

selva crescente sul ferrato arnese.<br />

Ma poi che il piú tardar gli pesa e tante<br />

punte spiccare e l'inegual certame<br />

lo stringe, pieno di pensier la mente<br />

al fin prorompe e tra le cave tempie<br />

del pugnace destrier scaglia la lancia.<br />

Dritto s'alza il quadrupede agitando<br />

i piè nell'aria e sul guerrier caduto<br />

poi anch'esso trabocca in mucchio, prono<br />

sopra il riverso con la spalla. Un grido<br />

divampa al ciel de' Teucri e de' Latini.<br />

Accorre Enea traendo fuor la spada.<br />

"Or dov'è, dice, quel Mezenzio fiero<br />

e quell'anima impavida?". L'etrusco,<br />

poi che con gli occhi al ciel bevve la luce<br />

e risentito fu, gli dà risposta:<br />

"Nemico amaro, a che sgridi e minacci?<br />

Non è orror ne la morte e con tal cuore<br />

al duello non venni, né il mio Lauso<br />

mi pattuí con te simili accordi.<br />

Ti chiedo sol, se co' nemici vinti<br />

usa indulgenza, lascia questa salma

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