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"L'Eneide",

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sorella, omai: cessa di opporti; andiamo<br />

dove il dio chiama e la dura fortuna.<br />

Vo' pugnar con Enea, patir vo' in morte<br />

quanto è d'acerbo: indegno piú, germana,<br />

non mi vedrai. Deh! lasciami, ti prego,<br />

infurïar de l'ultimo furore".<br />

Disse e dal carro diè ne' campi un salto,<br />

e via per i nemici e via per l'armi,<br />

desolata lasciando la sorella<br />

e rompendo le file impetuoso.<br />

E come allor che da un'alpestre vetta<br />

spicco per vento un sasso si ruina,<br />

cui penetrato avean le torbe piove<br />

o sotto sotto la vecchiezza roso,<br />

a precipizio va la falda enorme<br />

ed urtata sobbalza per la china<br />

alberi e armenti e uomini traendo;<br />

Turno cosí tra le sgomente schiere<br />

si difila a le mura, ove piú sangue<br />

inonda e piú stridon di strali l'aure,<br />

e con man cenna ed a gran voce ingiunge:<br />

"Fermi, Rutuli, olà; frenate l'armi,<br />

Latini. Sia qualunque la fortuna,<br />

è mia. Meglio è che per voi tutti io solo<br />

il patto ammendi e termini la guerra".<br />

Uscí di mezzo ognuno e fecer luogo.<br />

Ma il padre Enea, di Turno il nome udito,<br />

lascia le mura e lascia l'alta rocca,

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