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"L'Eneide",

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ognun sa di saper quel che si chiede<br />

al ben comune, ma la voce muore.<br />

Renda del dir la libertà, l'altura<br />

spogli colui per cui nefasto auspicio<br />

e protervo costume (io lo vo' dire,<br />

s'ei mi minacci pur d'offesa e morte)<br />

fior di duci vediamo esser caduti<br />

e tutta in lutto la città sommersa,<br />

mentr'ei provoca i Teucri confidato<br />

ne la fuga e bravando assorda il cielo.<br />

Un dono ancora, ottimo re, sui molti<br />

che pensi a' Teucri offrire, un dono aggiungi,<br />

né vïolenza d'uom sia che ti vinca,<br />

che tu padre la figlia a degne nozze<br />

non dia d'eccelso genero e con patto<br />

eterno ci raffermi questa pace.<br />

Che se un tanto terror le menti e i cuori<br />

lega, lui stesso supplichiam, da lui<br />

grazia chiediamo: ceda, e il lor diritto<br />

al re rassegni ed a la patria.<br />

Al rischio<br />

perché sí spesso i cittadini avventi,<br />

fonte che sei di questi mali al Lazio?<br />

Non è salvezza ne la guerra: pace<br />

tutti da te chiediam, Turno, e di pace<br />

l'unico insieme invïolabil pegno.<br />

Primo io, che tu ti fingi avverso (ed io<br />

non me ne scuso), a supplicarti vengo.

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